COMUNITA' PROVVISORIA

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LA BUONA SCUOLA

la 'montagna' di lioni, il calvello _a.verderosa 2005

1. La buona scuola è una scuola che non ha scuola.

2. E’ l’aquila che ti porta via dalle follie quotidiane per accompagnarti sulle asperità delle vette, offrirti la vista dei baratri, dei pendii, dei boschi e delle radure della storia umana.

3. E’ l’arpa che ti dona la forza di resistere alle sofferenze visibili ed invisibili del corpo e della mente. Miseria e tendenza a superarla, malattia e volontà di guarire, costrizione e voglia di libertà, indifferenza stellare e appassionata interrogazione. La buona scuola è la casa di questa ricerca, l’attesa inquieta, la preparazione al viaggio, la sollecita assistenza.

4. E’ l’arca che ti salva dal diluvio di violenza che grandina nelle case, sui muri, nelle piazze e nelle aule, negli ospedali e nei conventi, nelle prigioni e in ogni luogo dove il logos soffia delle umane sementi.
Il figlio dell’uomo e della donna non è innocente. La plasticità dello sviluppo lo rende affezionabile ad abitudini nocive, oltre che capace di prove straordinarie di generosità, di fantastiche architetture del bene, di meravigliose bellezze.
Sviluppo verso dove e a che scopo? Non ci si può sottrarre alla domanda né ad un’ipotesi di risposta. Non l’origine, ma la meta può farsi perfetta. L’essenza umana non è stabilita una volta per tutte. Molte carte si possono ancora giocare.
La buona scuola non può ridursi a gingillo di distinzioni sottili, non può vivere sempre di balocchi e trastulli. Sa d’essere scrigno, prezioso forziere dei migliori principi: prevenire è meglio che reprimere o curare.

5. Ma chi previene più? Chi sa più il confine di ciò che è bene fare e quanto, invece, è da evitare?
Il massimo profitto è l’unica legge che conosca il capitale, protagonista e lievito (per moltissimi, naturale) d’ogni rapporto sociale. Sulle terrestri lande non si pratica ora altra morale. Tutti siamo seguaci di Mammona, compresi i nostri figli, che appartengono alle famiglie solo per atomi piccini.
La buona scuola sa d’avere in questo dio il nemico mortale. Educare è anche perdere tempo. Per il capitale, invece, questo è denaro. Spesso educare è stare in attesa sollecita e paziente. Esso, invece, è frenetico ed impaziente. Per ammortare gli impianti quasi abolirebbe il tempo. Educare è reciprocità, rispetto. Il capitale, invece, non onora neanche il padre e la madre. Educare è letizia, complicità, intesa, naturale dissonanza fra le diverse età del corpo-mente. Per lui, invece, è piacere mortuario, spionaggio, sorveglianza, controllo.
La buona scuola è libertà di tutti e non solo della propria; è uguaglianza e non guerra e gerarchia fra il Sopra e il Sotto e al loro interno.

6. Nessuna persona può superare da sola il proprio tempo, fosse anche la più geniale e intelligente. Ogni visibilità ha il suo orizzonte, oltre il quale si può vagare o scavando nella miniera dei desideri accumulati nei secoli o con l’immaginazione: “io nel pensier mi fingo.”
Il pensiero della buona scuola varca le frontiere e coltiva il gusto dell’infinito e dell’invisibile. E’ ponte tra il noto e l’ignoto, fra la sponda dei nostri piedi e l’altra riva.

7. La buona scuola è domanda di buona scuola, è sapere che la manna non cadrà miracolosamente dal cielo una seconda volta. Del resto, non siamo neppure il popolo eletto. Siamo diversi miliardi d’umani che stanziano e vagano sulla crosta terrestre. Tutti eletti: ebrei o egiziani, palestinesi o indiani, italiani o latino-americani. Se tutti sono eletti, nessuno è eletto.
La buona scuola è il luogo dove lo scandalo della contraddizione può manifestarsi. I diversi gradi di perfezione dei singoli alimentano lo scontro ed il confronto, fanno germogliare gioie e rancori, invidie e ammirazioni, amicizie e indimenticabili inimicizie.
La buona scuola spinge in alto tutti questi affetti, si fa mongolfiera di passioni per il bene, navicella d’amori gratuiti, dispensa di doni, aiuto instancabile degli ultimi (che, se ci sono, è perché ci sono i primi). La matematica è la regina delle scienze. Senza condurla alla ghigliottina , le si può far notare quanta contraddizione s’annida nei suoi teoremi. Gli umani di logiche ne conoscono almeno due. L’identità senza relazione è guscio vuoto.

8. La buona scuola è casa del respiro, sede della durata, luogo dove il mormorio si fa parola, spada affilata, contesa per la rivelazione. E’ arnia scavata nella roccia, andirivieni d’api, prodigioso ronzio per lavorare il miele d’amore della verità, che non è del presente né del passato, ma, come le scritture insegnano, del futuro. Al compito della lotta per la verità, la buona scuola non può sottrarsi. Ognuna deve condurla dentro e fuori se stesso, con gli amici e coi nemici, insieme e separati, in amore ed in odio.

9. La buona scuola non pensa solo ai segni da lasciare. Ogni scuola (compresa la peggiore) ne lascia persino troppi sui quaderni, sulle pareti e nei rapporti.
Nella foresta si preoccupa di come i segni si fanno oggetti, significati (sociali) e sensi (individuali), attraverso cui la mente solo esiste: la mia e la tua e quella di nessuno dei due.
Dov’è la mente mia? Davvero è mia? Territorio immenso, mondo già vecchio e sempre nuovo, la mente è pianura, fiume, mare, gola montana vertiginosa, dove è già possibile praticare la rottura dei confini tra privato e pubblico, tra il mio pensare e quello gocciolato sulla carta, nei libri e sui quadri, nei film e sulle statue, nei templi e nelle moschee.
La buona scuola sa che la mente di ognuno non coincide col cervello, inteso come encefalo, materia grigia sensibile, premente sulle tempie e visibile sotto la cranica volta. Ma cosa sarebbe la mente senza cervelli? Cosa sarebbe Dio senza uomini e donne? Senza le centinaia di generazioni susseguitesi, legatesi tra di loro in una lingua, in una storia fatta di lavoro e riposo, di conoscenze e ignoranze, di gesti e imprese, di obbedienze e ribellioni, di vizi e di virtù, di efferate crudeltà e di estasiate bellezze.
La buona scuola è il giardino del paradosso: la mente esiste. Non coincide con i sé prodotti, ma sarebbe niente senza queste innumerevoli incarnazioni, senza questi miliardi di cervelli-ragioni, morti e vivi, passati-presenti e futuri che la rendano visibile in un oggetto: una sedia, un palazzo, un disegno di bambini, una nenia, un silenzio artistico travolgente più di una cascata.
Il comunismo risorgente è certo qualcosa che ha a che vedere col paradosso di questi corpi-mente, differenziati eppure uguali, singolari eppure appartenenti al genere come le mille e mille foglie di un albero.

10. La buona scuola non ama svisceratamente il “sociale”. E’ interessante, ma in sé non è bene né male. Come il “territorio” è invaso dal capitale, dalle tenebre di questo rapporto sociale. Il problema non è “aprire” o “chiudere” la scuola. Essa è persino troppo aperta ai miti colorati, ai fustini miracolosi, ai quiz e ai paroloni vuoti della nostra superficie sociale.
Da questo punto di vista, la buona scuola dovrebbe rivendicare una drastica chiusura dei battenti.
Ma non si combatte il male con la testa nel sacco. E allora i bambini, che portano il “sociale” ogni giorno sui banchi (del resto anche noi lo portiamo: chi può illudersi di non esserne infetto?), parlino pure dei loro miti di cartone, ci raccontino le loro demenze, il loro amore per i quiz, le loro credenze nei miracoli.
La buona scuola porterà le proprie idee (le più antiche e le più semplici: non uccidere, ama il prossimo tuo…) sul pascolo delle menti a brucare gramigne e festuche, ad aiutare la crescita del grano, dell’orzo e degli altri cereali che certamente s’annidano negli anfratti cerebrali.
La buona scuola sintetizza l’anidride carbonica sociale e restituisce ossigeno vitale.
Come albero può ammalarsi, come quercia può ritrovarsi stesa al suolo. Molti sono oggi i nemici dentro e fuori la scuola. La catena ecosistemica sociale l’espone quasi al collasso.
Il futuro non ha direzioni di marcia prestabilite. In parte, siamo noi a deciderle.
I chips, i microprocessori del presente, i circuiti che contraggono tempo e spazio fin quasi ad annullarli, annunciano forse epoche di estrema fragilità per la buona scuola e di mutamenti accelerati. Non va smarrita, però, la sostanza: il rapporto, storicamente variabile, fra indipendenza (libertà come possibilità) di ognuno di noi e dipendenza (necessità indotta dal legame sociale).
Quando l’Olimpo era pieno di dei e gli esseri, ritenendosi quanto mai dipendenti dalla divinità, si chinavano in preghiera, erano stretti da legami sociali che non riducevano gli individui alle preoccupazioni della “nuda vita”. Oggi che gli unici ascolti devoti sono rivolti all’andamento delle Borse finanziarie e si predica indipendenza ad ogni movimento di labbra, massima è la nostra dipendenza dalla divisione sociale del lavoro ridotto a capitale. Così vivere in un appartamento condominiale con le spine attaccate dell’energia elettrica, del gas, dell’acqua, della comunicazione è come trovarsi quotidianamente in sala rianimazione con la maschera d’ossigeno sul volto, aghi infilati delle fleboclisi ed elettrodi che segnalano pulsazioni e diagrammi encefalici.

11. La buona scuola non ama la didattica, la tecnologia degli obiettivi e dei sotto-obiettivi, l’addestramento comportamentistico della ragione strumentale, dell’intelletto che scotomizza.
Moneta a due facce, le pulsioni sadiche e masochiste sono ossessionate dal presente e, nelle realtà dell’istante (soprattutto se corpo-mente bambina), si limitano alle descrizioni visibili, trascurando di raccogliere la spinta verso il futuro, il trascendere senza trascendenza, l’andare al di là senza la credenza nei rissosi abitanti dei cieli o nella gloria infinita incapace di farsi umana e naturale corda vocale.
La buona scuola non conosce altra spontaneità che quella insita in questo desiderio di trascendenza.
La buona scuola è la migliore alleata dei desideri. L’infanzia ne produce a dismisura. Ogni giardino ha bisogno del suo giardiniere, di occhi e mani che rivoltino zolle e potino amorevolmente roseti.
Un desiderio può covare sotto la cenere per una vita intera. La buona scuola sollecita il passaggio al volere, allo sforzo, all’impegno, alla diligenza necessaria ad aprire il varco della realtà.

12. La buona scuola non pensa all’autorità con le vesti di Dio o di un Io-Padre trascendente, onnipotente inquilino della Casa Bianca o del Palazzo d’Inverno.
Questa rappresentazione è frutto marcio dell’alienazione ed è propagandata, soprattutto, da chi nelle mani tiene il bastone del comando.
L’autorità è in ognuno di noi, ma nelle attuali condizioni sociali ne realizziamo solo qualche frammento. Il resto siamo costretti, da secoli, per paura a delegarla nelle mani del Sovrano o del Dio-Capitale. E’ un contratto scritto sulle tavole della legge e nei corpi-mente.
La buona scuola svela l’incantesimo, elabora le paure, insegna a tenere a bada i fantasmi, studia le teologie e rinnova l’invito alle generazioni ad essere se stesse, a ridiscutere il contratto, a rompere il patto, ad aprire alle possibilità future.
La buona scuola non ha paura di realizzare la buona scuola. Per questo si fa astuta, intelligente, mite, resistente, ferma, irata, agile, decisa. Lascia passare il vento tra le foglie. Affronta l’uragano.
Ogni momento è utile alla realizzazione della buona scuola. L’angelo o l’angela è sempre in cammino

DONATO SALZARULO
Gennaio 1996

Written by comunitaprovvisoria

20 settembre 2008 a 2:36 PM

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Una Risposta

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  1. Interessante il soliloquio un pò narciso di Salzarulo… Per me la Scuola Buona o Bona che dir si voglia…è quella fatta da buoni insegnanti, quelli che amano gli studenti e li rispettano…tutti! A prescindere dalle opinioni personali di studenti e genitori, quella fatta da chi li segue e li capisce e quindì suppliscono alle gravi carenze dei vari pseudo-professori o dirigenti che entrano a scuola con pessimo umore e lo riversano… Quelli che suppliscono alla pessima struttura creata a furia di balordi cambiamenti filoamericani di test calati in quel poco di buono che rimane ancor nella tradizione italiana. Testi assurdi che nessuno rimuove per pigrizia e incapacità… Assurdi e fatti e senza senso alcuno.. tanto per fare…per ostruire il futuro a chi lo vuole scegliere o tanto per redergli la vita ancora più dura come se non bastasse. Sia nelle scuole che nelle università… senza una seria e attenta e ragionata ragione sociale e professionale e tantomeno culturale. Test calati nella scuola come vengono calati i grattacieli nelle nostre città…senza amore e senza passione, senza ragione ma così… tanto per fare e senza capire e interpretare la realtà della scuola come la crescita delle città. In questa scuola diventa e può diventare ancor più difficile lavorare per quegli uomini che amano insegnare, che ci credono e che possono davvero aiutare i nostri ragazzi a crescere. Un Bona scuola appunto dove chi ha qualche problema potesse trovare uno spazio amico per capire il futuro tramite la coscienza del presente potrebbe essere una garanzia per tutti…Sarebbe possibile…Ma…

    renzo marrucci

    21 settembre 2008 at 8:15 PM


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