COMUNITA' PROVVISORIA

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Alessandro Di Napoli, il poeta ritrovato

NELLA TERRA DI MEZZO _   di Paolo Saggese

La volta scorsa riflettevo sulle sorprese che l’Irpinia offre ai lettori di “Nella Terra di mezzo”. Oggi, vorrei riflettere brevemente sulle sorprese, che questa provincia mi regala, ogni volta che leggo o rileggo un suo autore. Non solo, come si potrebbe dire normalmente, rileggendo un poeta, se ne colgono aspetti prima solo intravisti o addirittura trascurati. Ma talvolta capita anche che di un poeta non si erano assaporate fino in fondo la profondità e l’eleganza.

Ad esempio, è stata per me una sorpresa rileggere una raccolta di Alessandro Di Napoli, poeta e intellettuale di Castelfranci, più noto soprattutto come fine critico e recensore, ma anche finissimo, elegante, intenso poeta, di cui attendiamo “primizie” dopo la silloge che ormai risale agli anni Ottanta, e di cui parleremo a breve.

Bibliofilo straordinario, lettore vorace, collezionista di vere e proprie rarità nel campo della critica e della poesia, le sue liriche sono state edite su riviste di altissimo rilievo quali “La Fiera Letteraria”, “Il Veltro”, “Quinta generazione”, “Quaderni della malora”, e altri ancora fogli di poesia. Notevoli anche i suoi legami di amicizia, ad esempio, con intellettuali di rilievo nazionale quali il gruppo abruzzese dei “Quaderni della malora”, ovvero Pina Allegrini, Rolando D’Alonzo, collaboratore del poeta Pasquale Martiniello nella curatela del Premio Internazionale di Poesia “Aeclanum”, studioso dell’opera di Gian Pietro Lucini, è anche appunto elegante poeta, che tuttavia ha interrotto bruscamente le pubblicazioni di versi in anni lontani. Inoltre, è stato il fondatore del Premio Internazionale di Poesia “Francesco De Sanctis”, uno dei Premi più antichi, se non il più antico della provincia, che ha dato i primi riconoscimenti prestigiosi a poeti quali Pasquale Martiniello e Giuseppe Iuliano.

Il primo augurio, ma che è ormai una certezza, è che presto dia alle stampe la produzione sino ad oggi, in modo che la sua vicenda intellettuale e culturale possa essere colta in tutta la sua importanza.

Di lui ho riletto in questi giorni “Le differenze” (1982), opera di un poeta trentenne, che mostra già una notevole maturità ed eleganza, come ancora Pasquale Martiniello nota nell’introduzione, dandone un giudizio puntuale e lusinghiero: “La sua poesia si caratterizza, sostanzialmente, per un’affollata presenza di aridità e di toni intensamente neo-ermetici e neocrepuscolari che collocano il giovane poeta irpino fra i più significativi continuatori della tradizione lirica moderna e contemporanea del nostro Paese”.

L’essenzialità, infatti, di un lessico montaliano si nota, ad esempio, in una delle poesie che mi sono sembrate più belle, la prima, appunto, “Sordo mi ascolto”: “Sordo mi ascolto / nel delta della vita. / Colpito in salvo / oltre la riva mi trascino. / Forse ho sbagliato ancora. / La voce che ora ansante ascolto / ripetermi che è troppo / tardi è la stessa che ieri / m’apriva il solco stretto della vita. / Qualcuno, nel suo sillabare / incerto, stancamente mi ripete: / chi procede a balzi non ha / futuro certo se non di / larvate sopravvivenze”.

Qui, sono presenti, in una notevole eleganza, una serie di implicazioni di carattere filosofico ed esistenziale: il “delta della vita”, ad esempio, rappresenta la difficoltà della scelta, il bivio cui volgersi, le alternative che si mostrano e su cui occorre decidere. Cosa essere, questo o quello? Quale strada intraprendere? Cosa sono? Cosa farò della mia vita?

E come un naufrago (qui si va con la mente anche alla “Allegria di naufragi” di Ungaretti o all’Ulisse di Saba), il poeta si trascina sino a riva. Di Napoli adesso riflette: “Forse ho sbagliato ancora”. In questo caso, il motivo dell’ulissismo si sposa a quello dell’erranza, quell’erranza, che aveva affascinato un grande intellettuale irpino, Carlo Muscetta, che aveva rappresentato la sua vita proprio come “Erranza”, così intitolando la sua autobiografica.

Il poeta, infatti, è amaramente certo dell’errore, certo che sbaglierà ancora: il nostro futuro di “Larvate speranze” è il dramma dell’uomo, ma anche in parte la sua speranza. Questo senso della vita è spesso espresso attraverso il “correlativo oggettivo”, altre volte attraverso immagini inedite che non si colgono subito nel loro senso letterale: “La vita sbuccia più sottile / d’una lima. Il senso del / messaggio è poco chiaro”. Ovvero, significa forse che la vita quasi ci consuma dolorosamente, lasciandoci delle cicatrici non visibili, ma comunque dolorose.

Al centro, vi è quasi sempre un senso doloroso e pessimistico della vita. Leggiamo, ad esempio, questa riflessione particolarmente severa, che tuttavia corrisponde, purtroppo, singolarmente alla società così come l’uomo ha voluta realizzare: “… Siamo stati allevati / come serpenti destinati a litigarci / l’immaginaria giusta causa. / Infatti, se a qualcuno chiedessimo / una tregua si riproporrebbe / la vecchia questione del fedifrago / dell’opportunista o del traditore”.

Una sezione della raccolta è di “Poesie d’amore”, di forte intensità. Anche in questo caso, come notava sapientemente Martiniello, assistiamo ad un neocrepuscolarismo. Tuttavia, è individuabile anche qualche perla di amore limpido, di sentimento vissuto nella sua pienezza, nella sua delicatezza, nella sua essenza: “Ci ha riscaldati / la luce dell’alba / dopo la notte d’amore / trascorsa sotto un cielo caldo di luna. / Stamane, un’eco mi riporta / l’odore irregolare del tuo respiro, / la dolce calma del tuo corpo / che a me s’esprime senza segreti. / Ti sei spogliata per sempre / dell’abito grigio della vita”.

Altro tema ricorrente è quello dell’amicizia, che è poi aspetto reale della biografia di Alessandro Di Napoli. Il poeta ha, infatti, un sentimento dell’amicizia fortemente radicato tra i suoi valori più profondi, e così si comprende la dedica “All’amico Eugenio Tecce”, il professore oggi Sindaco di Castelfranci, “All’amico Generoso Cresta”, il dottore votato alla politica e alla poesia, “All’amico Giuseppe Biancardi”.

Altro amico presente nella raccolta è il poeta e artista Armando Vegliante, i cui disegni impreziosiscono graficamente la bella raccolta.

E così, questo breve profilo è anche un modo per ricordare Armando Vegliante. Ma è soprattutto un modo per recuperare a noi stessi una figura di poeta di forte personalità, che ci insegna tanti pensieri che ci dovrebbero servire ad affrontare meglio, ovvero con maggiore intensità e consapevolezza, la vita. Perché “l’opinione / più comune è la meno vera, / anche se moltiplicando l’immagine / allo specchio c’è chi la vede / unita e non costruita alla furtiva”.

 

 

[Pubblicato su OTTOPAGINE il 12 giugno 2008]

 

 

 

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Written by alfonson

3 febbraio 2009 a 12:35 PM

Pubblicato su Paolo Saggese

136 Risposte

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  1. accolita di rancorosi
    settimini cuspidi e tignosi
    persi nelle vita
    come dentro una corrida
    intrappolati tra melassa e baraonda

    Accolita di rancorosi
    camerati ruvidi e grinzosi
    accaniti nel lavoro
    sparagnini con la prole,
    spendaccioni con le troie
    demoni rapaci
    sputan sulla terra
    dove andranno sottoterra!!!
    v. capossela

    ..più che una comunità provvisoria a me pare una comunità terapeutica. Esco a capo chino da questo catino untuoso.
    Federico Iadarola

    if

    15 agosto 2009 at 6:55 PM

  2. Se a qualcuno viene la tentazione di far poesia, dovrebbe contare piano piano fino a mille e poi, sempre pian pianino, decidere. “Poeta” e “Poesia” son cose troppo grandi e si rischia. Forse perché non v’è cultura classica di base. Giacché dannunziano, io, con molta discrezione e modestia, consiglierei di cambiare “genere letterario”. Per esprimersi o esprimere è più che sufficiente un bel diario: si scrive con meno impegno, si dice quel che si vuole, non si rischia e si fa persino bella figura. So che anche il verso libero da metrica e prosodia è ormai considerato “Poesia”, ma ciò non toglie quanto ho testé enunciato.

    Francesco Paolo Michetti

    16 agosto 2009 at 12:14 PM

  3. Taci. Su le soglie
    del bosco non odo
    parole che dici
    umane, ma odo
    parole più nuove
    che parlano gocciole e foglie
    lontane.
    Ascolta. Piove su i mirti
    divini,
    su le ginestre fulgenti
    di fiori accolti,
    su i ginepri folti
    di coccole aulenti,
    piove su i nostri volti
    silvani,
    piove su le nostre mani
    ignude,
    su i nostri vestimenti
    leggieri,
    su i freschi pensieri
    che l’anima schiude
    novella,
    su la favola bella
    che ieri
    t’illuse, che oggi m’illude,
    o Ermione…

    E il pino
    ha un suono e il mirto
    altro suono e il ginepro
    altro ancora, strumenti
    diversi
    sotto
    innumerevoli dita…

    E immersi
    noi siam nello spirto
    silvestre,
    d’arborea vita viventi;
    e il tuo volto ebro
    è molle di pioggia
    come una foglia
    e le tue chiome
    auliscono come
    le chiare ginestre,
    o creatura terrestre
    che hai nome
    Ermione.

    Andrea Sperelli

    12 settembre 2009 at 1:39 PM

  4. Lirica scritta a 16 anni dal grande d’Annunzio (PRIMO VERE): scopiazzatori perché non vi buttate a mare? Cosa aspettate? Quasimodo, Montale: scopiazzatori del Vate. Ma chi siete? Chi vi conosce? Solo i vostri scopiazzatori con quelle loro “poesie” (si fa per dire) soffuse e pallide di quel pallore che annunzia il dissolvimento dopo la morte. Ma chi perde tempo a recensire il Tedio? Io dico: il Nulla. A meno che non trattasi di psicoterapia: scrivete pure! Ma cambiate genere letterario: un bel diario vi rende immuni dalla derisione. O no? Fate piuttosto pubblica opera di pentimento per aver distrutto un paese in modo ancor più violento del fenomeno tellurico stesso. Organizzate un convegno e confessate pubblicamente a guisa medesima del cristianesimo paolino. Così facevano nel primo secolo dopo Cristo. Redimersi pubblicamente: solo questo è ciò vi resta. Lasciate stare i convegni inutili e insulsi. Siete libri aperti: tutti vi conoscono. Poi: restate calmi, non v’arrabbiate, non ricorrete alla violenza (persino in pubblica piazza) se qualcuno vi dice la verità. E’ un consiglio: la galera per una denuncia è possibile nonché facilmente confortabile.

    Pallida rosa, che da ‘l verde céspite

    ridi con disìo placido

    a ‘l bel vale d’amor de ‘l sole occiduo

    e gli mandi i tuoi balsami,

    senti tu tra le foglie i dolci fremiti

    ch’or la natura scuotono?

    intendi la canzon che canta Zefiro

    tra’ rami di que’ platani?

    Ecco, il tuo stelo trema a ‘l bacio languido

    d’un amante libellula,

    e le viole invidiando guardano

    i tuoi divini gaudii:

    da l’oriente la stella di Venere

    ti vibra il raggio pronubo,

    mentre le gaie rondini cinguettano

    per te l’epitalamio.

    Le petulanti passere rispondono

    da le pampinee pergole

    con trilli, con garriti di letizia

    e piluccando i grappoli.

    La cascatella i piccoli echi suscita

    per li verdi silenzii,

    simile a suon di chitarrino e flauto

    in nuzial corteggio…

    Deh, come lieta l’armonia de l’etere

    in questa solitudine!

    Come son belli questi tuoi connubii,

    o cara terra vergine!

    Io chiedo un’onda di celesti effluvii

    a ‘l sacro fior di Venere:

    chiedo che un raggio de’ suoi caldi vesperi

    doni a’ miei carmi Apolline.

    Piero Ummalido

    13 settembre 2009 at 10:43 am

  5. Quando ascolto “La pioggia nel pineto” par di udire magia musicale. E allora mi chide e chiedo: ma come si fa a dire “poeta” uno qualunque?

    Ma cosa è codesto centro di documentazione? Ma perché non andare a letto e pensare che certe cose appartengono solo e soltanto ai fuoriclasse?

    La Poesia, come l’etimo greco dice, è lirica: è parola musicale. Se uno qualunque la tenta: o è cretino o è cretino.

    Un famoso cantautore disse: fino a 16 anni si scrive poesia. Dopo: o si è poeti o si è cretini.

    Aristide Guarnacci

    14 settembre 2009 at 8:17 PM

  6. A qualche amministratore degli infasti anni ‘80 che fa il poeta, l’intellettuale (ovviamente non oltre Castelfranci giacché sconosciuto oltre le nere colonne del cimitero)dico: Quando ascolto “La pioggia nel pineto” odo magia musicale. Chiedo e mi chiedo: come fa a dichiararsi “poeta” uno qualunque?

    Cosa è questo centro di documentazione? Ma che cosa è? Ma perchè non si pensa che certe cose appartengono solo e soltanto ai fuoriclasse?

    La poesia, come l’etimo greco evoca, è parola musicale: quando la si tenta o si è cretini o si è cretini.

    Un famoso cantautore disse: “fino a 16 anni si scrive poesia, dopo o si è poeti o si è cretini”.

    Andrea De Carolis

    15 settembre 2009 at 5:03 PM

  7. Graecis Latinisque Litteris ignoratis, noli adfectare quod tibi non est datum: delusa ne spes ad querelam recidat. Aiuto per la traduzione: quì trovi un ablativo assoluto e una proposizione finale ad hoc.

    Se poi ti appaga il culturame paesanotto e psicoterapeutico: non darti pena per le lingue classiche, pian pianino (e nel tuo italiano) documenta tutto (anche quel che di autobiografico non conviene). Documentare è render noto e manifesto ciò che non ancora si rivela. Un centro di documentazione: o è completo o non è, o è verità o non è, o è coraggio o non è, o è onore o non è. Ma io dico qualcosa di più: o è dignità o non si fa.

    Andrea De Carolis

    15 settembre 2009 at 5:22 PM

  8. Mi rivolgo agli scopiazzatori del d’Annunzio: Montale e Quasimodo. Mi rivolgo poi allo scopiazzatore a sua volta di entrambi e gli dico:
    “Taci, perito di tubi catodici e ruote dentate e motori a scoppio,
    Taci, impara, ascolta questa vera magia musicale, fai inchino, inginocchiati e poi buttati a mare: ma quando esso è in tempesta”.

    Taci. Su le soglie
    del bosco non odo
    parole che dici
    umane; ma odo
    parole più nuove
    che parlano gocciole e foglie
    lontane.

    Ascolta. Piove
    dalle nuvole sparse…

    Piove su i mirti
    divini,
    su le ginestre fulgenti
    di fiori accolti,
    su i ginepri folti
    di coccole aulenti…

    Piove su i nostri volti
    silvani,
    piove su le nostre mani
    ignude,
    su i nostri vestimenti
    leggeri,
    su i freschi pensieri
    che l’anima schiude
    novella,
    su la favola bella
    che ieri
    t’illuse, che oggi m’illude,
    o Ermione.

    Ascolta. Risponde
    al pianto il canto
    delle cicale
    che il pianto australe
    non impaura,
    né il ciel cinerino.

    E il pino
    ha un suono, e il mirto
    altro suono, e il ginepro
    altro ancora, stromenti
    diversi
    sotto innumerevoli dita.

    E immensi
    noi siam nello spirto
    silvestre,
    d’arborea vita viventi;
    e il tuo volto ebro
    è molle di pioggia
    come una foglia,
    e le tue chiome
    auliscono come
    le chiare ginestre,
    o creatura terrestre
    che hai nome
    Ermione.

    Ascolta, Ascolta. L’accordo
    delle aeree cicale
    a poco a poco
    più sordo
    si fa sotto il pianto
    che cresce;
    ma un canto vi si mesce
    più roco
    che di laggiù sale,
    dall’umida ombra remota.
    Più sordo e più fioco
    s’allenta, si spegne.
    Sola una nota
    ancor trema, si spegne,
    risorge, trema, si spegne…

    Ascolta.
    La figlia dell’aria
    è muta: ma la figlia
    del limo lontana,
    la rana,
    canta nell’ombra più fonda,
    chi sa dove, chi sa dove!
    E piove su le tue ciglia,
    Ermione.

    Piove su le tue ciglia nere
    sì che par tu pianga
    ma di piacere; non bianca
    ma quasi fatta virente,
    par da scorza tu esca.

    E tutta la vita è in noi fresca
    aulente,
    il cuor nel petto è come pesca
    intatta,
    tra le palpebre gli occhi
    son come polle tra l’erbe,
    i denti negli alveoli
    son come mandorle acerbe.

    E andiam di fratta in fratta,
    or congiunti or disciolti
    (e il verde vigor rude
    ci allaccia i melleoli
    c’intrica i ginocchi)
    chi sa dove, chi sa dove!

    E piove su i nostri volti
    silvani,
    piove su le nostre mani
    ignude,
    su i nostri vestimenti
    leggeri,
    su i freschi pensieri
    che l’anima schiude
    novella,
    su la favola bella
    che ieri
    m’illuse, che oggi t’illude,
    o Ermione.

    Andrea De Carolis

    15 settembre 2009 at 5:32 PM

  9. Caro professor , per aver scritto quanto segue, il garbato, fine recensore, intellettuale elegante, il (si fa per dire) poeta: mi ha rivolto parole e azioni violente in pubblica piazza dinanzi a numerosissimi testimoni. E lo considerate un individuo degno di custodire paesi e civiltà antiche? E lo ritenete capace di esser membro di un centro di documentazione? E se qualcuno documenta su di lui: cosa succederebbe? Un poeta (si fa per dire) che distrugge un antico paese medioevale e un bosco circostante per colate di cemento e per una fabbrica che diventa persino deposito di rfiuti provenienti da Napoli: si rende conto, caro professore? E infine: ma quale cultura? Di greco non sa nemmeno l’alfabeto: di tal lingua (matrice di ogni possibile cultura) è un emerito ANALFABETA. Di latino: non ne parliamo. Cultura? Sì: quella artefatta, artificiosa, raggiungibile da chiunque con buona volontà, provincialotta e paesanotta. Oltre le nere colonne del cimitero: chi lo conosce? Su quale testo o rivista di tenore nazionale e scientifico scrive? Sa cosa è una sintassi greca, una sintassi del verbo, dei casi o del periodo? Ha mai aperto un Gemoll o un Georges? Se ne saprebbe districare? Sa cosa è la consecutio temporum o la perifrastica attiva? Prova a chiedergielo e vedi se sia capace di una risposta. Io penso: assolutamente no. So per certo che qualche risposta da perito tecnico (quale culturalmente di base è) saprà dartela: saprà senz’altro cosa sia un tubo catodico o un motore a scoppio o una ruota dentata. Questa è la Verità. Ributtalo dove l’hai ritrovato. Lo conosco troppo bene.

    LE ORIGINI DELLO SCEMPIO IN CASTELFRANCI

    Si premette che quanto segue non è assolutamente rivolto alla persona in quanto tale bensì ad un ruolo politico che, per ciò stesso, è di natura pubblica e soggetto quindi alle opinioni del cittadino che ha liberamente investito quella persona di quel ruolo. Sono opinioni e vanno quindi rispettate senza prevaricare nelle risposte ma ragionando con riflessioni legittime, fermo restando che siano a parlare i “fatti accaduti” con documenti ineccepibili in sintonia con la verità, non arzigogolando nei sofismi e nei cavilli pretestuosi. E’ il metodo storico: né più né meno.

    Perché il centro antico del borgo non è più esistente? Per volontà scellerata della maggioranza eletta nel giugno 1980. La famigerata questione dibattuta nel consiglio comunale del settembre 1981 riguardò una fantomatica via di collegamento per la quale occorreva eliminare il vecchio abitato lungo la rupe del fiume Calore: in particolare i vicoli Pendino e Cancello declinanti verso il piano dell’Ortora. La seduta principiò alle ore sedici: vi fu il rapporto di un architetto repentinamente impugnato da alcuni cittadini presenti.

    La minoranza subito espresse opinione contraria per evitare lo scempio della memoria storica. Il dibattito in quella grigia aula delle adunanze fu quanto mai concitato e a niente valsero le arringhe dei minoritari: il destino del vecchio paese era di già segnato. Si riproduce un brano del discorso che enunciò il consigliere di minoranza Angelo Bocchino: «E’ inconcepibile distruggere il centro antico per costruire strade inutili. Nel prendere visione della bozza m’è venuta in mente la Sicilia. Ritengo quanto segue: la maggioranza s’é affidata a tecnici che intendono risolvere il problema solo da un punto di vista progettuale trascurando i motivi storici, sociali e affettivi. Per questo non sono favorevole». Parole profetiche.

    Perché si addivenne a quella turpe volontà? Perché annichilire quelle vestigia di lontana rimembranza? Fu solo bruta ignoranza del Bello? Il terremoto del novembre 1980 causò l’emergenza delle distruzioni incontrollate: ovunque si distruggeva senza discernimento di sorta. Si ricordi l’emergenza progettuale ancora più nefasta perché legalizzata da una legge speciale: la numero 219 del 1981. Si aggiunga la legge numero 187 del 1982 che riduce i poteri delle Soprintendenze a tutela del patrimonio storico e identitario: un capolavoro dietro l’altro. Si giustifica l’argomentare di quella maggioranza dicendo: i cittadini vogliono la comodità. Ebbene: e chi la nega? E allora: si costruisca il nuovo ma non si distrugga il vecchio!

    Dicesi altresì che di artistico v’era ben poco da salvare. Ma la questione è un’altra: è questione di ignoranza. Solo di ignoranza? Se fu soltanto bruta ignoranza, rispondiamo: nella tradizione non v’è unicamente il lato estetico; v’e un borgo in cui, proprio per lo spazio raccolto, si corroborano legami arcaici, sentimenti, affetti cari, vicinanze familiari, conoscenze e solidale colloquio tra generazioni: vi pare poco?

    In qual maniera alla calamità naturale si congiunge il disastro legalizzato? La legge n° 219 sottrae il 20% dal contributo dei cittadini che intendono ripristinare la vecchia abitazione: ecco la chiave di volta, il ricatto tradotto in legge. Ecco la incontrovertibile responsabilità. Ecco la manna per i famelici amministratori. Poi si promette: ognuno vagheggia e si lascia il luogo natio.
    E, così come detto, il destino del borgo antico è segnato: l’intrigo politico, i reboanti proclami della villa signorile, la furberia del contributo conforme al numero di famiglia, l’utopia del paradiso venturo riducono il paese a immagine e somiglianza di periferia urbana per chi lo rivede e poi ne ricorda l’antica bellezza.
    Si riconosca per eccezione l’intuizione del Bello o, per non usare parole ridondanti, un recupero intelligente benché non sia tanto l’intelligenza quanto la conoscenza estetica alla base di certe iniziative benemerite. Si pensi ad esempio Rocca san Felice, Nusco, Gesualdo, Sant’Angelo, Guardia, Castelvetere et cetera: identità e bellezze ritrovate.
    In alcuni borghi della verde Irpinia, sia per volontà di popolo sia per lungimiranza di autorità culturalmente preparate, sono agli antichi splendori: monumenti, palazzi, castelli, monasteri, conventi, episcopi. Si recupera un gusto estetico concomitante quell’economia turistica che a noi appartiene per natura e costume. L’industria pesante in montagna: stoltezza. Perché Castelfranci, borgo medioevale come il nome stesso racconta, non può rivendicare la sua millenaria tradizione? Perché tanto scempio?
    Perchè quel disastro di Baiano? Perché la bruta mania della distruzione?

    «Ai disastri indiscriminati della cosiddetta emergenza si sono aggiunti quelli “progettuali” contenuti negli strumenti urbanistici e legalizzati dalla legge speciale numero 219 del 1981…
    Fu conseguenza della miopia amministrativa generalizzata: ignorando il valore di quanto esisteva e nell’enfasi del consumo finanziario si annientò un patrimonio storico architettonico di grande valore ambientale. La distruzione avvenuta e la cancellazione di ogni segno della civiltà altirpina penalizzano ancora una volta il rilancio del nostro territorio. La legge 219 ha premiato la distruzione e la ricostruzione ex novo a discapito del recupero e del restauro: si è radicalmente annullato il patrimonio preesistente mediante un incentivo economico. Cioè: tutti quei cittadini che intendevano recuperare o riparare la prima abitazione erano penalizzati con una decurtazione del 20% sul buono contributo rispetto a quelli che demolivano e ricostruivano beneficiando di sovvenzioni per il cosiddetto adeguamento al numero familiare.
    Una concezione perversa: infatti, i proprietari di case danneggiate, con un incentivo in denaro, abbandonavano il centro storico sperando in condizioni di vita migliore nelle ville dei cosiddetti piani di zona. E così centri abitati trasferiti in lontananza con aumento abnorme di luoghi urbani.
    La legge 187 del 1982, modificando la 219, ridusse ulteriormente i poteri delle Soprintendenze impegnate nella salvaguardia dei beni storici e architettonici: non si poté esprimere vincoli sul patrimonio minore o privato.
    In breve: ragioni di ordine politico e amministrativo nonché culturale furono alla base di legislazioni distruttive e di saccheggio per un 20% in più.

    Al termine del processo ci ritroviamo una moltiplicazione dei luoghi abitativi, sono stati diroccati i centri storici e costruiti i piani di zona. Cioè: autentiche periferie urbane con l’inevitabile degrado sociale, culturale, identitario».

    L’ultimo capolavoro del Legislatore si chiamò: ristrutturazione urbanistica. Cioè: coloro i quali intendevano rimanere nel centro storico ottennero il diritto di farlo pure ampliando superfici edilizie accanto o al di sopra delle proprie particelle. Risultato: in teoria il recupero, in pratica nuova edilizia tra le vecchie tipologie. Si immagini l’obbrobrio. O meglio: lo si osservi.
    Di qui l’isolamento alienante dell’uno dall’altro. Si registrano casi di recupero intelligente: Guardia, Rocca san Felice, Gesualdo ecc. «Tranne le poche eccezioni riportate, in tutti gli altri Comuni non risulta definito né quanto rimane del centro antico né quanto si è cominciato ex novo.
    Nei luoghi storici rimane il vuoto lasciato dagli edifici trasferiti: sono presenti ruderi e sterpaglie. Nei nuovi: lamiere a destra e a manca, obbrobri di marmo, porte cimiteriali in alluminio. Il recupero di alcuni borghi per fine turistico tra i quali anche Castelvetere dimostra che il medesimo costa meno di una nuova costruzione». La caratteristica di una comunità altro non è che il forte legame all’ambiente raccolto in cui si vive, al suo tempo ciclico, alle stagioni, alle costumanze: è cosmos (ordine) che riunisce gli intenti, accoglie l’armonia, espelle l’emarginazione del singolo. Non v’è posto per la solitudine, l’individualismo apolide, per l’angoscia dello spazio ampliato, smisurato, desolato. La comunità è appartenenza, è come un cerchio sacro dove si è protetti da chi si conosce e si riconosce, dove tutto è sempre identico a se stesso e diverso da ciò che esiste altrove. Ogni comunità possiede una cultura, un patrimonio spirituale proveniente dagli antenati, un luogo determinato. Permane nella distinzione con altre comunità egualmente sacre perché diverse nelle abitudini e nello “spazio”.
    Ma quando un evento naturale inatteso sopraggiunge devastando quel cerchio, si è come trasportati nel caos (disordine), nella confusione, nell’indistinto, nell’irriconoscibile, nell’inconoscibile. Il tutto ad immagine e somiglianza delle desolanti periferie urbane: non si conosce e non si riconosce l’appartenenza, la storia di una vita, quella di una cultura amica, di una civiltà comune e condivisa.
    E dove sarà mai il genius loci? E lo spazio a misura d’uomo? E la casa dove si nacque? E il vicolo dell’infanzia? E la vita sociale? E gli affetti? Questo accadde negli infausti anni ottanta: si annullò il topos (spazio) chiuso e limitato per dare esistenza allo spazio ampliato, orbo di limiti e confini, privo di “spazio umano”.
    Si cancellò il passato, l’antico, la memoria. Nella distruzione del centro storico e nel conseguente degrado etico-estetico l’unico metro di giudizio fu il calcolo: la misura, la grandezza, la quantità, il denaro. Questa è la modernità, il pensiero nichilista, il ridurre al nulla separando ciò che per essenza è unito: uomo e Ambiente, uomo e Comunità, uomo e Spazio, uomo e Bellezza, uomo e Cultura.
    V’è in architettura una questione di straordinaria importanza, diremmo “decisiva” per l’uomo: ciò che l’ambiente può causare nei comportamenti sociali. Essa è: il determinismo dello spazio; non è di comprensione difficile e può spiegarla un semplice paragone: si pensi il modo di vivere in una grande periferia urbana e quello in un vicolo di un paesino.
    Nel nostro caso: il degrado urbano causa la decadenza morale e sociale. Nel concetto espresso rientrano giocoforza la famelica volontà, l’incapacità, l’ignoranza estetica di chi è deputato al governo della cosa pubblica: non può essere altrimenti. Si legga: “Distruzione e valorizzazione dei centri in Irpinia”, da cui sono tratte le notizie tra virgolette.

    Andrea De Carolis

    15 settembre 2009 at 6:08 PM

  10. Egregio Dr. Saldutti, alias Sperelli, Guarnacci, Ummalido, Michetti, De Carolis, ecc. : con i suoi pettegolezzi e vetuste frustrazioni sta tediando i lettori del blog oltre che se stesso; ne siamo certi. Non ha avuto il coraggio di esternare quello che pensa nella piazza del suo paese e lo fa qui, con lustrato vigore e livore, ogni santo giorno.
    Si dia una calmata, abbandoni l’anonimato e rechi alla sua esistenza un pò di coraggio, poichè, sembra capace di scrivere bene.

    Per i lettori : il blog serve anche ad esternare reconditi sentimenti, ma come già da più parti segnalato, un limite c’è e, purtoppo, ancora una volta c’è bisogno di mandare il Dr. Saldutti in SPAM.

    Saldutti potrà continuare a scrivere ma deve scrivere di altro, basta con le paranoie su Castelfranci e i suoi mancati poeti.

    – – –
    La Redazione, riunita in data 15.9.2009

    REDAZIONE

    15 settembre 2009 at 8:56 PM

  11. Che io scriva bene è risaputo e il verbo “sembra” nell’accezione di “si manifesta evidente” lo accetto e ringrazio.

    “Frustrazioni” è voce che non rientra nella mia biografia: limpida, onesta, coerente, sincera. E così dicono tutti coloro che mi conoscono per davvero. In breve: la si attribuisca a chi obnubila scheletri negli armadi tarlati e mai disinfettati.

    Coraggio? Nella piazza del mio paese: dico, ripeto, ribadisco, a voce altisonante quel che scrivo al computer, negli articoli e in qualche mio libro. Tanto è vero che, testimoni vivi e quindi parlanti, possono dimostrare incontrovertibilmente le minacce, le violenze fisiche e verbali che ricevo
    allorquando qualche mia favilla brucia la coda di qualche non solo frustrato e complessato ma persino direttamente (e con altri) responsabile dello scempio che ha cancellato ogni sia pur minima traccia di memoria storica. Glielo detto in faccia: più coraggio di così si muore. O no? Io ardisco, non ordisco (come per una intera esistenza hanno fatto e ancor fanno i più classici traditori e mendaci democristiani).

    Ma quel che mi fa più rabbia è il turpe malvezzo di calunniare, discreditare (ovviamente alle spalle) appena le volti dopo averti incensato o adulato che dir si voglia. Gli pseudonimi sono scherzi e nulla più: non occorre intelligenza angelica per capire.

    Sono Enzo Saldutti, il mio indirizzo email è (vsaldutti@yahoo.it). Io sono quì, pronto a scrivere, replicare comunque e dovunque, abbassando i toni (se lo si preferisce). Però: che si dica la Verità (quella che io, sulla scia del Tomismo, chiamo “proprietà trascendentale dell’Essere).

    Enzo Saldutti

    16 settembre 2009 at 9:01 am

  12. Spett.ma Redazione chiedo, molto cortesemente, la pubblicazione dello scritto precedente il presente. Credo che sia un doveroso e importantissimo chiarimento per i rispettabili lettori e per la rispettabilissima Redazione stessa. Cordiali saluti.

    Enzo Saldutti

    16 settembre 2009 at 9:17 am

  13. Dr. Saldutti, continuando a riscrivere quello ‘glielo detto in faccia’ fa venir definitivamente meno le considerazioni da noi riposte nella sua scrittura.

    A Castelfranci nessuno è a conoscenza delle sue esternazioni pertanto, ad evitare sicure querele da parte degli interessati, La invitiamo ad astenersi da ulteriori commenti diffamatori su questo Blog.

    REDAZIONE

    16 settembre 2009 at 12:54 PM

  14. A Castelfranci una piazza intera è a conoscenza di azioni violente (o meglio: aggressioni fisiche) nei miei confronti. E si tratta di conoscenze o testimonianze oculari (dico: oculari). Io già potevo querelare ma non sono avvezzo a siffatte meschinità.

    Spett.ma Redazione per me tutto finisce quì: credo di e
    essere un galantuomo senza nulla togliere agli altri.

    Enzo Saldutti

    16 settembre 2009 at 1:22 PM

  15. Se la vostra è una Comunità paesologica, non potete non pubblicare quanto segue.

    Spett.le Redazione (benché onorabile e benemerita), senza conoscermi e senza cognizione di causa non può tacciarmi di parole tali come: PETTEGOLO, VETUSTO FRUSTRATO, NON CORAGGIOSO.

    PETTEGOLO. Quel che dico è verità enunciata frontalmente, oralmente e per iscritto in maniera seriamente documentata: non rientra nelle mie costumanze enunciare alle spalle, appena l’interlecutore le volta, calunnie e menzogne.

    VUTUSTO FRUSTRATO. Io conduco una vita tranquilla, sono docente di scuole superiori, ho conseguito senza raccomandazione politiche il titolo accademicco alla pestigiosa Facoltà Teologica “Tommaso d’Aquino” in Napoli con tesi di ricerca su H. G. GADAMER dinanzi ad una commissione presieduta dall’esimio professore di livello internazionale Bruno Forte, sono esperto di esegesi biblica e di opere dannunziane, mi diverto giorno e notte con la Juve e con le cretinate della politica locale, non ho scheletri da obnubilare negli armadi tarlati.

    NON CORAGGIOSO. Quel che penso lo dico, lo ribadisco, lo ripeto con voce altisonante in piazza e in ogni luogo (benché talvolta ricevo violenze verbali, talaltra aggressioni fisiche anche dinanzi a testimoni). All’occorrenza, mentre tutti si nascondono, da solo faccio anche volantinaggio: sempre a difesa del paese e delle sue antiche bellezze distrutte o ancora da valorizzare.

    CONVEGNI. Verba volant, scripta et facta manent. Spett.ma Redazione ho lavorato gratuitamente per ben due anni per scrivere un libro il cui notevole ricavato è stato devoluto per il restauro di un antico organo della chiesa madre. Si tratta di un libricino con brevi notizie accompagnato da un altro di tipo fotografico che riporta alla memoria le antiche bellezze del paese distrutto negli anni’80.
    Sono 5 anni che sto lavorando per la seconda edizione: la prima è poca cosa, la seconda sarà un opera scientificamente molto più valida ed elaborata.

    PSEUDONIMI. Non occorrono intelligenze angeliche per capire che trattasi di uno scherzo.

    Enzo Saldutti

    16 settembre 2009 at 3:04 PM

  16. Spett.ma Comunità Paseologica, io non provo alcun rancore verso la tal persona o verso il tale amministratore. L’ho sempre detto e premesso. La mia critica è rivolta ad un ruolo pubblico in quanto tale e pertanto democraticamente esposto al giudizio pubblico.

    Chiedo venia per aver scritto parole dure: a volte non se ne può più e per capire bisogna vivere in un determinato paese ascoltando per lunghi anni certi ragionamenti giustificativi.
    Però mi ribello allorché non v’è il minimo riconoscimento degli errori commessi o non si rispettano le opinioni altrui.

    E’ tutta quì racchiusa la mia tristezza per un bel piccolo paese medievale (persino a forma presepiale) letteralmente “raso al suolo” ivi compreso un meraviglioso bosco circostante per una fabbrica fallita e divenuta addirittura deposito per rifiuti urbani provenienti da Napoli. LA REDAZIONE DI UNA COMUNITA’ PAESOLOGICA, COSI’ BENEMERITA ED IMPEGNATA, DEVE RIPORTARE QUESTI COMMENTI CHE FUORIESCONO DAL PROFONDO DI UN ANIMO SOFFERENTE E SENSIBILISSIMO AGLI SCEMPI DEI LUOGHI NATURALI E STORICI. Franco Armininio, verso cui sento un profondo rispetto, raccomanda di raccontare ed io cerco di farlo. Ecco un racconto su CASTELFRANCI molto sintetico ma veritiero e incontrovertibile.

    Il terremoto del novembre 1980 fu evento incontrollabile, seguirono “distruzioni incontrollate”: ovunque si distruggeva senza discernimento di sorta. PRIMO CAVOLAVOLRO.

    Si ricordi l’emergenza progettuale e legalizzata da una legge speciale: la numero 219 del 1981. SECONDO CAPOLAVORO.

    Si aggiunga la legge n° 187 del 1982 che riduce i poteri delle Soprintendenze a tutela del patrimonio storico e identitario: un capolavoro dietro l’altro.

    Talvolta si giustifica il Legislatore: licet, quod cuique libet, loquatur (Cic.).
    Talaltra si giustifica dicendo: i cittadini vogliono la comodità. Ebbene: e chi la nega? E allora: si costruisca il nuovo ma non si distrugga il vecchio.

    L’ultimo CAPOLAVORO del Legislatore si chiamò “ristrutturazione urbanistica”. Cioè: coloro i quali intendevano rimanere nel centro storico ottennero il diritto di poterlo fare anche ampliando superfici edilizie accanto o al di sopra delle proprie particelle. risultatto: IN TEORIA IL RECUPERO DEL BELLO ANTICO, IN PRATICA MODERNA EDILIZIA TRA LE VECCHIE TIPOLOGIE.

    Enzo Saldutti

    17 settembre 2009 at 8:39 am

  17. Chiedo scusa ai lettori per i numerosi errori ortografici dovuti a battitura veloce: purtroppo ho il malvezzo di non rileggere e correggere. Mi si comprenda!

    Enzo Saldutti

    17 settembre 2009 at 3:53 PM

  18. COMUNITA’ PROVVISORIA:
    GRAZIE DI ESISTERE.

    “L’idea nasce dalla voglia di stabilire contatti tra persone che vivono in Irpinia e sono intente a produrre bellezza o a tutelare la bellezza esistente di un territorio inteso come mirabile opera d’arte e non come luogo vuoto da riempire di merci e veleni”.

    Par che sia questa l’idea di fondo e ispiratrice. Ebbene, perché chiamare me: vetusto frustrato, pettegolo, pavido, rancoroso per aver denunciato chi o coloro che hanno prodotto il contrario?

    Codesti aggettivi mendaci, attribuiti peraltro ad uno sconosciuto, sono per ciò stesso doppiamemente diffamatori: perché rivolti a persona ignota e per il significato cinicamente offensivo.

    Conduco una vita tranquilla, ho un titolo accademico prestigioso consegnatomi dall’esimio professore internazionale Bruno Forte della prestigiosa Facoltà Teologica “Tommaso d’Aquino” in Napoli, sono docente di scuole superiori, mi diverto con la Juve e con le cretinate della politica paesana. Non mi fa paura nessuno: quel che penso non solo lo scrivo e lo espongo ma lo dico in faccia e talvolta (anche da solo) faccio volantinaggio solo e soltanto a difesa della bellezza urbanistica e paesaggistica della nostra amata Irpinia.

    I convegni? E dove farli? Non siamo né alla Normale di Pisa né in Heidelberg né ad Harvard. Non mi piace l’esibizionismo che può sembrare psicoterapeutico.

    Ma io sono un galantuomo, aderisco ai nobili propositi della comunità e dannunzianamente rispondo dicendo che degli aggettivi diffamatori a me gratuitamente rivolti: ME NE FREGO.

    Alla stessa guisa rispondo a chi in paese già divulga notizie circa le mie idee che al computer esprimo per quel poeta che non voglio nominare. Quanta meschinità! In breve: a me (sconosciuto) possono pervenire diffamazioni, per chi è invece straconosciuto e riveste un ruolo pubblico (letterario e politico insieme) è severamente vietato esprimere giudizi, lasciare commenti, recensire o dire altro. E’ logica e sensata una cosa del genere? Siamo in democrazia o in regime bulgaro?

    Cosa c’è di diffamatorio nell’uso della parola “poetino”? Cosa c’è di così grave nell’uso della parola “poetuncolo”? Intanto “poetino” è un vezzeggiativo e perciò designa qualcuno considerato con simpatia. “Poetuncolo” e “poetastro” sono in vero parole dure ma non con intenzione diffamatoria: le ho semplicemente adoperate per sostituire “minore” cioè quell’aggettivo usato in Letteratura per bravi poeti ma non eccelsi o eccellenti. Dico ciò con sincerità.

    In altri termini e ad esempio: un poeta è Gabriele d’Annunzio, un poetuncolo è il petrarchista ermetico Leonardo Sinisgalli. Detto questo, però bisogna pure accettare e aspettarsi le inevitabili recensioni allorché ci si espone in pubblico con poesie, romanzi ed altro. V’è pure un fruitore che legge e giudica secondo i propri canoni.

    Io dico di accontentarsi di qualche buona recensione già ricevuta, di impegnarsi per divenire almeno un “minore” (di entrare cioè nell’indice di qualche manuale scolastico) e di non arrabbiarsi più di tanto se un dannunziano, giocoforza avvezzo a certe celestiali finezze estetiche, si lascia sfuggire qualche parolina un po’ pesantuccia. E’ normale.

    Per il ruolo politico: le cose sono ben diverse e già si è detto abbastanza con parole ineccepibili e tutto altro che discutibili giacché sono i fatti accaduti a dimostrarle appropriate.

    Enzo Saldutti

    18 settembre 2009 at 10:42 PM

  19. Visto che la Redazione, definendomi anche “paranoico”, m’invita a parlare di altro: parlo di altro, della poesia in senso lato. Vedremo se, pur parlando di altro, questo “altro” viene pubblicato almeno per rispetto dei lettori. Si ricorda che “paranoico” (al pari di “frustrato”) è un altro aggettivo diffamatorio attribuitomi gratuitamente ovverosia senza conoscermi. Ma io della Redazione ho rispetto ed esigo il medesimo in egual misura senza ricorrere alle querele che sono puerili meschinità

    In Grecia si accompagna il poeta che recita i suoi versi con uno strumento musicale: la lira. Ciò non accade con il racconto: la narrazione di un accadimento. Pertanto è inevitabile dedurre che la differenza tra poesia e prosa (almeno per i greci) non consiste nel suscitare un’emozione qualunque.

    La prosa provoca emozione per quello che dice, la poesia provoca emozione per la musicalità della parola che per ciò stesso può anche non dire nulla.
    In breve: la poesia si risolve nella musica.

    Dice d’Annunnzio ne “La leda senza cigno” che le parole significanti le cose sembrano dette da uno spirito che in quelle cose dimora: esse sono “modulate” (musicate) secondo gli aspetti delle cose stesse. E così nella conca dell’orecchio si crea, ad esempio, uma melodia argentina o uno scrosciare di pioggia o una sillaba che si riscontra nel fruscio del vento. Si noti che non stiamo riferendoci alle parole onomatopeiche: si eviti questa confusione semplicistica interpretando d’Annunzio.

    E se v’è corrispondenza tra poesia e musica, allora la poesia è arte (creazione). Ed in greco “poiein” significa appunto “creare”. Detto questo, consiglio di contare fino a mille prima di tentare la poesia: è preferibile un bel diario dove si può esprimere ed esprimersi senza esporsi al pericolo di indurre qualche lettore a ridersi del presunto poeta. Ora, poiché l’arte appartiene a pochi eletti: basta poco per recensire uno qualunque con spiacevoli diciture.

    Allorché si scrive poesie è anche normale nonché legittima la lettura e quindi la recensione secondo canoni o criteri esegetici. Per me non è poesia il “dire” soltanto, il “raccontare” soltanto. Per me non è poesia il tramettere “interiorità esistenziali o morali” soltanto. Verga, Pirandello, Sartre, Heidegger non furono poeti.

    Ecco perché, se un poeta non mi va, a lui dico: usa un bel diario, esprimi tutto ciò che vuoi, non metterti nella condizione del riderti. E’ un consiglio: perché non posso darlo?
    Con saggezza i latini dicevano:
    “Virtutis expers verbis iactans gloriam
    Ignotos fallit, notis est derisui”.

    Anche la prosa commuove, esprime sentimenti: è preferibile perché (a mio avviso) più comoda.

    Nemmeno la rima o la metrica differenziano poesia e prosa: anche il verso libero (da non confondersi con il verso sciolto) può essere poesia.

    E nemmeno la connotazione (le figure retoriche) costituisce la differenza: essa si adopera anche in prosa e persino nella lingua parlata.

    Ed allora: che cosa fa della poesia “vera poesia”?

    Ciò che differenzia la grande poesia da quella minore e dalla prosa è la musicalità: la qualità fonica, gli accorgimenti sonori, quelle determinate sillabe accentate, quella determinata modulazione delle rime, le pause al momento giusto, il silenzio al momento giusto, le riprese al momento giusto, i giochi del polisindeto, le allitterazioni e le assonanze disposte in un modo e non in altro, i tocchi comparativi, le parole-canto e così via.

    Il grande poeta crea musica di parola in parola, di verso in verso, di sillaba in sillaba: tutto si alterna e si fonda in una melodia ampia e varia di accordi e di echi irriducibili entro i paradigmi di una banale composizione descrittiva.

    In ciò d’Annunzio fu ed è maestro: innegabilmente. Certo: il Vate è taciuto e i motivi si sanno, ma ora non è il caso di aprire un’altra disputata “quaestio”.

    Ecco perché quando sento recitare “La pioggia nel pineto” o “La sera fiesolana o “Le stirpi canore” par di ascoltare un concerto pur non comprendendo appieno i valori semantici (il significato di quella determinata parola).
    Ecco perché quando ad esempio si ascolta la Traviata, pur ignorandone la trama o non leggendone il libretto, ci si esalta e si grida: “Che musica!”.

    Ecco perché preferisco d’Annunzio: m’infonde ebbrezza, gioia di vivere, mi allieta la conca dell’orecchio, mi esalta, mi solleva lo Spirito, mi naturalizza, mi fa gustare il Bello.

    Chiedo alla Redazione: perché il Vate non è mai citato? Perché sempre e comunque Montale e Quasimodo? Per carità: bravi quanto si voglia quantunque spesso fanno scendere non solo l’animo. E poi siamo davvero sicuri della loro grandezza allorché sembra che qualche critico come Pier Mengaldo li stia un po’ ridimensionando come epigoni del d’Annunzio?

    Si consiglia la lettura di G. d’Annunzio “Prose di ricerche, lotta ecc.” Ripeto: chiedo, sempre molto cortesemente, una risposta dalla spett.ma Redazione.

    Enzo Saldutti

    22 settembre 2009 at 10:34 am

  20. La Redazione consenta ancora questa voce dissidente, con quel po’ di provocatorio in senso buono anche per non dire ai lettori sempre le stesse cose e di non tediarli con l’assoluta assenza di qualche idea alternativa, diversa, che non provenga dalla ormai inveterata Weltanschauung politico e letteraria figlia dei fiori e del ’68 sclerotizzato e bisognoso di una intensiva terapia anti coagulante.

    E’ una cantilena senza fine che i signori Quasimodo e Montale siano sempre e comunque citati come se fossero nati in cima al Parnaso partoriti dalla Musa più bella. E’ ingenuamente palese che il Centro di documentazione abbia connotati politici di sinistra. E’ altrettanto palese che i nomi che circolano in codesto Centro svolgano attività politica e sindacale ovviamente nel versante medesimo. E’ incontrovertibilmente palese che nei volumi editi a cura del Centro altro non si fa che apologia di determinati poeti ad esclusione di altri che (a mio avviso) è preferibile non ricordare nemmeno con un cenno per evitare (a mio avviso) contaminazioni estetiche: deturpare il suo viso è la cosa più brutta che possa capitare a Monica Bellucci.

    Quindi: meglio sarebbe così. La Poesia o è aristocratica o non è. Ripeto: meglio sarebbe così. Dico “sarebbe” e non dico: “è meglio così”. Non sono così cattivo e cinico da svalutare l’opera benemerita del Centro. Accade un po’ come per le squadre di calcio: i giocatori invecchiano, vanno e vengono, però la squadra rimane integra, così com’è. Allo stesso modo i tifosi: rimangono ache quando il loro campione preferito indossera un’altra divisa.

    Ritornando a noi: il benemerito Centro rimane, dei suoi membri poco a me importa. Esso può migliorare con le campagne acquisti (come i grandi club di footbal). E allora perché intervengo? Intervengo per segnalare e per invitare il Centro ad un salto di qualità ampliando i propri angusti orizzonti ancora fermi ad una visione letteraria ormai superata: siamo nel 2009 e non nel 1968. Intervengo per segnalare che nel Novecento non esistono soltanto Quasimodo e Montale e pare anche sopraggiungere un loro inaspettato ridimensionamento. Addirittura par che non siano sì grandi e originali come si crede, si credeva o si vuole far credere.

    Intervengo perché non se ne può più: Montale, Quasimodo, crepuscolari, neo crepuscolari, ermetici, neoermetici, alchimisti, maghi e chi più ne ha più ne metta. Avrei proprio voluto vedere (senza il “simbolismo” estetizzante del decadentismo dannunziano): cosa avrebbero saputo e potuto esprimere codesti autori o su quali basi lessicali, stilistiche, simboliche, analogiche e formali avrebbero composto le loro liriche. Non ho detto “plagiato” perché avrei esagerato anche se non tanto.

    Comunque i dubbi rimangono e non è da critici intelligenti eluderli o addirittura negarli: chi avrebbe la capacità o lo scibile sì perfetto e compiuto da permetterselo? Solo i cretini vivono di assolute certezze: o no?

    Intervengo, ad esempio, per segnalare che l’influenza di d’Annunzio su Montale è stata da molto tempo dimostrata (con gran messe di materiali) da Mengaldo, nella sua prima Tradizione del Novecento. Recentemente è uscito un bel volume montaliano di A.Zollino (I paradisi ambigui. Saggi su musica e tradizione nell’opera di Montale, Il Foglio 2008) che aggiunge nuovi materiali e dunque rafforza la tesi dell’effettiva incidenza. Chi la pensa diversamente, magari, si sforzi di provare sui testi che d’Annunzio non c’entra nulla con la poesia montaliana.

    Io non ho bisogno di sforzarmi: lo faccio da tempo remoto. E non m’interssa tanto la presenza o meno di questa ormai quasi accertata influenza. I miei raffronti mi hanno permesso ben altri risultati: ancora più importanti. In breve: La frizzante magia ebbra del Vate mi piace.
    E con buona pace (a mio avviso) delle angoscianti, esistenziali, tediose tribolazioni dei Montale, dei Quasimodo, dei crepuscolari e di tutti coloro che in codesti si rifettono o si riconoscono.
    E’ come confrontare la Traviata con qualche marcetta bandistica.

    Enzo Saldutti

    22 settembre 2009 at 4:30 PM

  21. GIOVA ALLA CONCA DELL’ORECCHIO
    CAMBIARE CANTILENA

    E’ una palla che si ripete da 40 anni: stucchevole, superata, obsoleta, piagnucolona. Quasimodo, Montale, Montale e poi Quasimodo, Quasimodo e poi ancora Montale. Che lagna! Che piagnisteo! Da quando è nato il mondo l’uomo sa che la vita è “anche” un tormentato andirivieni di giorni insulsi, che v’è negatività umana e senso del naufragio, che v’è angoscia e dolore. Si sa che la vita è “anche” così: si deduce che i due citati poeti non hanno fatto altro che la scoperta dell’acqua calda. E basta: una volta per tutte.

    Se Dio esiste e se, come l’Aquino filosoficamente dimostra, il Creatore è Vita e Bellezza: volgiamo una volta tanto lo sguardo verso qualche poeta che invita l’uomo a fare di sè un’opera d’arte. Volgiamo una volta tanto un po’ la mente a chi infonde il Bello nei suoi versi per infonderlo a sua volta nell’uomo. Volgiamo un po’ l’attenzione al grande artefice della lingua italiana al punto tale che se da una sua prosa estrapoliamo un periodo: quest’ultimo si manifesta come un verso emanante musicalità (cioè: eleganza verbale, arte, bellezza, ebbrezza, vita, sensualità). Si faccia questa prova!

    Io un dì la feci estrapolando parti de “Il Piacere”.
    Che incanto già l’incipit “L’anno moriva, assai dolcemente.” Quella virgola appositamente lì, dopo il verbo, non è un silenzio senza cui non può nascere la melodia “andante” degli avverbi susseguenti?

    E poi: “Il sol di San Sivestro spandeva non so che tepor velato…” Che ritmo quel “non so che tepor velato”. E le tante minute descrizioni artistiche? Le coppe a guisa del tondo di Botticelli, le maioliche ornate d’istoriette mitologiche da Luzio Dolci: che esteta! Chi sa! Forse il Vate lo si evita anche perché la sua lettura devesi fermare spesso per consultare o un vocabolario o un dizionario di storia dell’arte o uno di mitologia classica: può darsi.

    Suvvia! Citiamolo almeno per qualche volta. Mettiamo da parte (almeno per qualche volta) i pregiudizi, i preconcetti, i conosciuti motivi e (a mio avviso) anche la gelosia di nasconderlo per non ritrovarsi di fronte ad un colosso che spazzerebbe via tutti i suoi epigoni el Novecento letterario. Si organizzi qualche gita al Vittoriale cantando “Giovinezza”.

    La vita e la poesia non sono solo e soltanto tristezza e sofferenze e tedio e noia esistenziali. La vita è soprattutto movimento, gaudio, musica della natura: viva allora il poeta che la rappresenta così.

    Enzo Saldutti

    24 settembre 2009 at 4:45 PM

  22. A noi non piace piagnucolare, non siamo esistenzialisti, ributtiamo l’angoscia, a noi piace osare sempre, ardire e non ordire, il nostro animo è duro come il diamante, siamo ognora desti, osiamo l’inosabile, ce ne freghiamo della paura e della morte, andiamo sempre più alto e più oltre, non cantiamo se non cose grandi, viviamo ardendo e non ci lasciamo guidare, mai saremo in basso, siamo sempre rivolti alla Forza Perfetta e, anche se ancora ignota, noi la toccheremo.

    Lasciamo a Montale e a Quasimodo i loro lamenti e i loro piagnistei.
    La vita è vita e la intendiamo in quanto vita: ebbrezza, conoscenza inesausta del Bello, del Grande, dell’Eterno rinnovarsi.

    Io così navigai
    alfin verso l’Ellade sculta
    dal dio nella luce
    sublime e nel mare profondo
    qual simulacro
    che fa visibili all’uomo
    le leggi della Forza
    perfetta. E incontrammo un eroe,
    incontrammo colui
    che i latini chiamano Ulisse.

    G. d’Annunzio

    Elisa Venturin

    27 settembre 2009 at 6:24 am

  23. La Redazione con sistematicità non pubblica mai il seguente commento: in fondo simpatico, veritiero ed assolutamente privo di offese, vituperi o parole vandaliche.
    O gli è antipatico il Vate, o è antidemocratica, o è gli è forse antipatico il direttore del VITTORIALE Giordano Bruno Guerri che ha scritto su d’Annunzio e su Marinetti (antipatico egualmente).
    Non voglio pensare che siamo ancora in clima di sinistra bulgara benché sembri.

    Eppure dovrebbe rispettare o almeno ringraziare chi si impegna per la cosiddetta paesologia e scrive di essa credendo di far bene.

    E’ una palla che si ripete da 40 anni: stucchevole, superata, obsoleta, piagnucolona. Quasimodo, Montale, Montale e poi Quasimodo, Quasimodo e poi ancora Montale. Che lagna! Che piagnisteo! Da quando è nato il mondo l’uomo sa che la vita è “anche” un tormentato andirivieni di giorni insulsi, che v’è negatività umana e senso del naufragio, che v’è angoscia e dolore. Si sa che la vita è “anche” così: si deduce che i due citati poeti non hanno fatto altro che la scoperta dell’acqua calda. E basta: una volta per tutte.

    Se Dio esiste e se l’Aquinate razionalmente dimostra che il Creatore è Vita e Bellezza: volgiamo una volta tanto lo sguardo verso qualche poeta che invita l’uomo a fare di sè un’opera d’arte. Volgiamo una volta tanto un po’ la mente a chi effonde il Bello nei suoi versi per infonderlo a sua volta nell’uditore della Parola. Volgiamo un po’ l’attenzione al grande artefice della lingua italiana al punto tale che se da una sua prosa estrapoliamo un periodo: quest’ultimo si manifesta come un verso emanante musicalità (cioè: eleganza verbale, arte, bellezza, ebbrezza, vita, sensualità, classicità). Si faccia questa prova!

    A mò d’esempio: “Il Piacere” è un romanzo. E già l’incipit: “l’anno moriva, assai dolcemente” è poesia, è preludio musicale “andante” (come dicesi in gergo). Quella virgola, appositamente proprio lì, è una pausa (un silenzio) da cui riparte la melodia dei susseguenti avverbi “assai dolcemente”. E poi: è prosa o poesia : “il sole si San Silvestro spandeva non so che tepor velato”? Quel: “non so che tepor velato” non è forse un “andante mosso”? E poi: “le rose immerse in coppe di cristallo a guisa di quelle dietro la Vergine nel “tondo” di Sandro Botticelli”. E poi ancora: “quelle maioliche ornate d’istoriette mitologiche da Luzio Dolci, antiche forme di grazie, ove sotto le figure leggiamo in corsivo a zàffara nera esametri di Ovidio”. Certo è che quando si legge il più grande esteta della parola, quando si legge l’inebriante Gabriele d’Annunzio, le cose si complicano: occorre l’ausilio di un vocabolario, di un dizionario di storia dell’arte, di un’enciclopedia d’antichità classiche.

    Suvvia! Citiamolo almeno per qualche volta. Mettiamo da parte (almeno per qualche volta) i pregiudizi, i preconcetti, i conosciuti motivi e (a mio avviso) anche la gelosia di nasconderlo per non ritrovarsi di fronte ad un colosso che spazzerebbe via tutti i suoi epigoni del Novecento letterario. Si organizzi qualche gita al Vittoriale cantando “Giovinezza”. Si faccia, almeno una volta nella vita, quell’inchino per accedere in Biblioteca: che estro. Il Vate raccolse ogni opera d’arte in quella sontuosa villa sul Garda: saloni immensi, biblioteca inimitabile però con una porticina per inginocchiare l’uomo onde accedere.
    La vita e la poesia non sono solo e soltanto tristezza e sofferenze e tedio e noia esistenziali. La vita è soprattutto movimento, gaudio, musica della natura: viva allora il poeta che la rappresenta così.

    E’ una palla che si ripete da 40 anni: stucchevole, superata, obsoleta, piagnucolona. Quasimodo, Montale, Montale e poi Quasimodo, Quasimodo e poi ancora Montale. Che lagna! Che piagnisteo! Da quando è nato il mondo l’uomo sa che la vita è “anche” un tormentato andirivieni di giorni insulsi, che v’è negatività umana e senso del naufragio, che v’è angoscia e dolore. Si sa che la vita è “anche” così: si deduce che i due citati poeti non hanno fatto altro che la scoperta dell’acqua calda. E basta: una volta per tutte.

    Se Dio esiste e se l’Aquinate razionalmente dimostra che il Creatore è Vita e Bellezza: volgiamo una volta tanto lo sguardo verso qualche poeta che invita l’uomo a fare di sè un’opera d’arte. Volgiamo una volta tanto un po’ la mente a chi effonde il Bello nei suoi versi per infonderlo a sua volta nell’uditore della Parola. Volgiamo un po’ l’attenzione al grande artefice della lingua italiana al punto tale che se da una sua prosa estrapoliamo un periodo: quest’ultimo si manifesta come un verso emanante musicalità (cioè: eleganza verbale, arte, bellezza, ebbrezza, vita, sensualità, classicità). Si faccia questa prova!

    A mò d’esempio: “Il Piacere” è un romanzo. E già l’incipit: “l’anno moriva, assai dolcemente” è poesia, è preludio musicale “andante” (come dicesi in gergo). Quella virgola, appositamente proprio lì, è una pausa (un silenzio) da cui riparte la melodia dei susseguenti avverbi “assai dolcemente”. E poi: è prosa o poesia : “il sole si San Silvestro spandeva non so che tepor velato”? Quel: “non so che tepor velato” non è forse un “andante mosso”? E poi: “le rose immerse in coppe di cristallo a guisa di quelle dietro la Vergine nel “tondo” di Sandro Botticelli”. E poi ancora: “quelle maioliche ornate d’istoriette mitologiche da Luzio Dolci, antiche forme di grazie, ove sotto le figure leggiamo in corsivo a zàffara nera esametri di Ovidio”. Certo è che quando si legge il più grande esteta della parola, quando si legge d’Annunzio, le cose si complicano: occorre l’ausilio di un vocabolario, di un dizionario di storia dell’arte, di un’enciclopedia d’antichità classiche.

    Suvvia! Citiamolo almeno per qualche volta. Mettiamo da parte (almeno per qualche volta) i pregiudizi, i preconcetti, i conosciuti motivi e (a mio avviso) anche la gelosia di nasconderlo per non ritrovarsi di fronte ad un colosso che spazzerebbe via tutti i suoi epigoni del Novecento letterario. Si organizzi qualche gita al Vittoriale cantando “Giovinezza”. Si faccia, almeno una volta nella vita, quell’inchino per accedere in Biblioteca: che estro, che genio, che poeta. Il Vate raccolse ogni opera d’arte in quella sontuosa villa sul Garda: saloni immensi, biblioteca inimitabile però con una porticina per idurre ad inchinarsi per accedere.
    La vita e la poesia non sono solo e soltanto tristezza e sofferenze e tedio e noia esistenziali. La vita è soprattutto movimento, gaudio, musica della natura: viva allora il poeta che la rappresenta così.

    Enzo Saldutti

    28 settembre 2009 at 2:20 PM

  24. Per un Centro di Documentazione sulla Poesia del Novecento: una buona e bella idea sarebbe quella di organizzare un viaggio d’istruzione al Vittoriale, rimanere ivi per qualche settimana, incontrare Giordano Bruno Guerri e imparare un po’ qualcosa di nuovo, di meglio, di superiore, di più raffinato, di più aristocratico, di meno borghese, di più bello.
    L’unico problema forse è l’accesso alla inimitabile Biblioteca del Vate: purtroppo è obbligatorio inchinarsi poiché vi si entra solo e soltanto attraverso una porticina.
    Ma forse non è un problema per un chierico cattocomunista avvezzo ad inchinarsi, a tradire, all’intrigo, al patto, al compromesso (anche storico), al partigianesimo della Resistenza badogliescamente democristiana e di sinistra da cui è nata la Costituzione.
    O forse è una purificazione quell’inchino? Una purificazione dai due più grandi morbi del Novecento: il PCI e la DC ovvero il comunismo o capitalismo di Stato e l’americanismo o capitalismo dell’individuo?
    Una purificazione per 85 milioni di vittime umane massacrate dal primo e per la contaminazione del cosmo compiuta dal secondo?
    Chi sa dove, chi sa dove: ma da qualche scaffale del Vate può anche venir fuori qualche testo di Gentile (ottimo per acculturare gli “alleati” della prima e dell’ultima ora sull’Idealismo attualistico, sullo Spirito che domina la materia bruta, sulla Carta del Lavoro, sul punto 12 del Manifesto di Verona plagiato dall’articolo 46 della Costituzione, sul Bello, sull’Onore, sulla Fedeltà, sull’Eroismo, sulla concezione della vita che rigetta le due facce della stessa medaglia, su quella visione della vita che non vede solo e soltanto l’homo oeconomicus, su quella Weltanschauung antiborghese e anticomunista perchè antieconomicistica).
    E poi: si ritorni in Irpinia e si poetizzi sul Novecento con questo rinnovato bagaglio.

    Elisa Venturin

    11 ottobre 2009 at 11:59 am

  25. Quanto possa essere riferimento e guida spirituale l’estetica dannunziana all’esperienza della comunità provvisoria?
    Nella misura in cui si legge e si interpreta, ad esempio, il messaggio contenuto ne “Le vergini delle rocce”.
    Dico “ad esempio”: perché sarebbe fatica immane enumerare la produzione del Vate sul tema in questione.

    Claudio Cantelmo (protagonista del romanzo) è testimonio delle più ignominiose violazioni e dei più osceni connubi che mai abbiano disonorato un luogo ben determinato (la stupenda Roma imperiale) in cui si sono dati convegno i peggiori malfattori e, simile al rigurgito di una cloaca, l’onda putrida delle basse cupidigie umane.

    La medesima cosa fu l’Irpinia degli anni ottanta: un’orda barbarica (sindaci, assessori, geometri, ingegneri, politici) devastò un’architettura meravigliosa in un paesaggio incantevole.

    La comunità provvisoria rigetti fino all’osso i responsabili, mai accolga in sé quei procacciatori di denaro sciacallo e infame: poi continui nell’idea della bellezza paeseologica e dell’onestà politica.

    Raccolga quanto di bello non fu deturpato: un po’ come il Vittoriale raccoglie oggetti belli sotto il supremo segno unificante dell’arte.

    Si ricordi che Claudio Cantelmo è un raffinato che ama l’arte e odia la borghesia mercantile che deturpa la Roma dei Cesari.

    La comunità provvisoria non ha bisogno di poeti, ha bisogno di poeti pertinacemente dannunziani: cosa altro è il canto alcionio se non canto inimitabile di natura e di paesaggio?

    Elisa Venturin

    12 ottobre 2009 at 11:45 PM

  26. Mi è stato obiettato.
    Quanto possa essere riferimento e guida spirituale l’estetica dannunziana all’esperienza della comunità provvisoria: non si capisce.

    Rispondo dicendo.
    Quanto bella tutta fosse l’Irpinia prima della bruta falce distruttiva in nome del denaro sciacallo e infame: i giovani non sanno.
    Ecco già perché d’Annunzio.
    Ecco perché l’Esteta per antonomasia.

    Per alimentare nel cuore dei giovani la Fiamma del Bello e dell’Onore, il culto della Patria e della sua Irpinia secondo la sentenza del Poeta stesso ne IL LIBRO ASCETICO DELLA GIOVANE ITALIA che “la fortuna d’Italia è inseparabile dalla Bellezza di cui Ella è
    madre”.

    Cosa é CANTO NOVO?
    Cosa é TERRA VERGINE?
    In che modo appaiono all’orecchio aduso alla Bellezza della musica se non come celebrazione canora dell’incanto paesaggistico o paesistico che dir si voglia?

    Ecco perché il Vate della più grande e bella Italia.
    Ecco perché il versatile Genio del passaggio dal romanzo aristocratico (IL PIACERE) e dalla poesia aulica e “diabolicamente” elegante (ALCYONE) al crudo verismo de LE NOVELLE DELLA PESCARA ove è descritta una terra così prossima a quella d’Irpinia.

    L’Irpinia non ha bisogno del desolato e desolante Quasimodo: un piagnucolio comune e tutto passa.

    La desolante Irpinia di oggi ha bisogno di volgere lo sguardo alla gaia Irpinia di ieri e del domani: l’Irpinia Bella della Dignità e dell’Onore di chi la governerà.
    Cari saluti sotto buoni auspici. Elisa.

    Elisa Venturin

    15 ottobre 2009 at 9:58 am

  27. Ma il mio pensier mi finge che tu colta
    l’abbia tra quelle mura
    che Arno parte, negli Orti Oricellari,
    ove dalla barbarie fu sepolta,
    ahi sì triste, la Musa
    Fiorenza che cantò nei dì lontani
    ai lauri insigni, alle chiare
    fonti, all’eco dell’inclite caverne,
    quando di Grecia le Sirene eterne
    venner con Plato alla Città dei Fiori.

    G. d’Annunzio

    Verso 15 “mi finge”: mi fa immaginare.
    Per ben capire gli altri versi, si ricorra a qualche esperto di Antichità Classiche che nella Comunità Provvisoria non manca, benché io non sappia dove Essa possa darsi convegno or che l’Irpina è ridotta peggio degli Orti Oricellari.

    Ed io immagino l’Irpinia come quegli Orti acquistati ed abbelliti da Bernardo Rucellai prima dell’avvento barbarico degli speculatori che, per sete di guadagno nella loro corsa ruinosa, cancellarono tutti i simulacri della Bellezza e tutte le vestigia del Pensiero. La immagino come quei luoghi sacri alle Muse (perché si diedero convegno intellettuali, poeti e politici come lo stesso Machiavelli).

    Ma la barbarie degli anni ’80 che distrusse l’Irpinia è, secondo noi, peggiore ed ancor più vile.

    Per la Bellezza degli Orti Oricellari: si leggano alcune pagine de LE VERGINI DELLE ROCCE, il discorso enunciato dal Poeta nell’anno 1895, il più famoso discorso pronunciato a Firenze per le elezioni del 1900 (San Giovanni e la pulce).

    Cari saluti sotto buoni auspici. Elisa.

    Elisa Venturin

    21 ottobre 2009 at 11:08 am

  28. Cara Elisa,
    e che dire dell’oraziano AL FONTE DI BANDUSIA
    (splendidior vitro), di quel naturalismo sì
    paesistico in PRIMO VERE?

    Chi più del Vate della più bella e grande Italia
    dimostra lo slancio d’un giovinetto (appena sedicenne)
    a possedere la Natura, ad agghindarla d’istinti e
    colori sensuali, a farne strumento d’una inimitabile
    poetica estetizzante?

    Orazio? Poesia “quantitativa” (esametro, pentametro, trocheo, spondeo, dattilo, giambo, faleceo)?
    No: per carità di Dio. Anche perché necessita premettere cognizioni prosodiche.
    No: non é cosuccia per chiunque!

    Non si dia nondimeno spazio alla “oratio soluta”, a quella che i Latini chiamavano “prosa”. Giammai ciò accada: sempre e solo “poesia”!

    Rimaniamo in poesia (benché, nostro malgrado, “accentuativa” come nella italica “traditio” dallo Stil Novo a d’Annunzio in tutte le varianti di verso rimato, libero e sciolto).

    Rimaniamo in poesia benché dai pallidi smorti epigoni del Vate (Quasimodo e Montale sempre citati per ragioni politiche e di convenienza e di gelosia) si proceda, ad ogni piè sospinto, verso una poesia via via più prosastica e sempre meno ritmico-musicale (comoda ma brutta giacché contro l’autentica essenza melica dell’autentico verseggiare).

    Per la critica recensoria: rimaniamo nel tradizionale metodo storico-critico e bando all’arido approccio strutturalistico-semiliologico. Per chi non comprende: sempre “diacronia” e mai e poi mai “sincronia”. In poesia come in prosa non v’è alcunché da vivisezionare come un cadavere.

    Le scienze della Natura sono una cosa, le scienze dello Spirito sono ben altro: si legga Dilthey e Gadamer o Vattimo (per chi non comprende entrambi i tedeschi), si studi l’ermeneutica esistenziale. Si attualizzi il messaggio poetico e non lo si isoli nella esegesi sincronica (ormai superata) in quanto sterile per il lettore.

    Noi non siamo marxiani e materialisti e crediamo nello Spirito Pensante sempre rinnovantesi: siamo idealisti, siamo gentiliani, siamo dannunziani.

    Pazienza, Elisa: pian pinino gli faremo capire da quale fonte attingere, imparare e recensire.

    Ancora a te: cari saluti sotto buoni auspici.

    Lucio Marabito

    23 ottobre 2009 at 4:39 am

  29. Mia cara Elisa,

    bando alla critica faziosa e partigiana, obsoleta, vecchiotta, defunta: a Momigliano, a De Robertis, a Binni, a Toffanin, a Getto, a Petrocchi, a Marcazzan, a Fubini, a Gramsci, a Sapegno, a Muscetta, ad Eco Umbertino (quello che ha scoperto l’acqua calda scopiazzando Occam, che viviseziona il testo e lo blocca nel suo tempo di scrittura, non lo attualizza diacronicamente e ne rende il messaggio a guisa di un cadavere all’obitorio, privandone ogni diacronia che possa renderlo attuale).

    Volgiamo lo sguardo alla critica esistenzialista che riporta il testo al fruitore qui ed ora (hic et nunc) e lo rende parlante al lettore in ogni momento della storia: che senso ha un messaggio se a me non dice nulla? Mi riferisco, per chi non sa e per intenderci, a quella “fusione di orizzonti” di cui parla Gadamer a proposito dell’esegesi biblica. Che senso ha per me oggi un testo (ebraico, aramaico, greco) scritto per tutti gli uomini tremila o duemila anni fa?

    E’ questa l’ermeneutica (interpretazione coinvolgente)
    il cui etimo (da Ermes: messaggero degli Dei) rende bene l’idea: il Kerygma biblico (ogni pericope in tutte le sue forme: prosa sapienziale, proverbiale, profetica, storica, cantici poetici) deve comunicare, giungere a me in vista delle mie future scelte e del mio futuro “modus vivendi”.

    Lo stesso vale e dicasi per qualsiasi altro testo di altra natura: storia, letteratura, arte e così via.

    Per una rinnovata fresca lettura e per cominciare ti consiglio di H. G. Gadamer: IL PROBLEMA DELLA COSCIENZA STORICA e soprattutto VERITA’ E METODO.

    Abbandona il vecchiume che la scuola partigiana ti ha imposto: da Quasimodo a Montale a tutti quei reperti archeologici summenzionati (da Momigliano ad Eco).

    Io potrei anche citare il mio caro Martin Heidegger (il maestro di Gadamer), ma il discorso potrebbe complicarsi se non addirittura fraintendersi per chi non è avvezzo alla lettura di certi scomodi difficili autori: meglio tacere.

    Anche io ti saluto sotto buoni auspici.

    Sabino Salutati

    23 ottobre 2009 at 10:49 am

  30. I miei commenti sono replica a precedenti altri rimossi. Così perdono il senso (se senso poteva esserci) per cui furono formulati, anzi appaiono risposta sconclusionata al contenuto del Post.
    Prego la Redazione di rimuoverli.
    Cordiali Saluti. Vittorio

    vittorio

    24 ottobre 2009 at 8:34 am

  31. UNA BREVE DIGRESSIONE TEOLOGICO-FILOSOFICA

    Guccini? E chi è? Lo ignoro: forse uno di quei lamentosi che lungi da me siano?
    Io conosco un solo Aedo (un solo Cantore Poeta Vate).
    E solo a Lui chiedo. Come deggio cantar nella mia strofa asclepiadea: Thalatta, Thalatta?
    Mi par troppo concitato adoprar un pirrichio.
    Il mio Aedo è un raffinato esteta goliardico: come ripudia il volgo tarantellaro così i piagnucolii di chi non è gaio come Lui.

    Cosa vuol dire “sconclusionato”? Mi si citi uno solo che conosca la logica aristotelica! Chi conosce il principio di non contraddizione? Chi conosce la differenza tra “ente”, “essenza” ed “Esistenza”?

    Ognuno, ogni cosa è “ente” con una “essenza” (ciò che la cosa è o ciò per cui una cosa è quella che è e non può essere altra da sé): uomo, cavallo, albero ecc.).

    Di qui il famoso principio aristotelico di non contraddizione: una cosa non può essere e non essere, al tempo stesso e sotto il medesimo rispetto, quella che è. Proseguiamo. In ognuno ed in ogni cosa si distingue tra “ente” (una cosa che è o una cosa che esiste): è il limite per cui una cosa non è l’altra, è il limite dell’ente creato, di ogni creatura.

    Solo nell’Esistenza o Essere: “ente” ed “essenza” s’identificano per cui l’Essere è tuttò ciò che può “essere”. Dell’Essere non può dirsi “cosa che esiste” perché esiste prima di essere cosa (la quale per definizione può non esistere essendo appunto “cosa” o “res” nella cui definizione non rientra l’esistenza).

    Esempio: nella definizione di “uomo” v’è “animale razionale” e basta: non v’è necessariamente il concetto di “esistenza”. Alla stessa guisa: nella definizione di “ippogrifo” non v’è necessariamente il concetto di “esistenza” benché i pittori lo raffigurino e i poeti ne scrivono.

    E perveniamo così all’Essere Assoluto (ab-solutus) ovverosia “sciolto da ogni relazione di dipendenza”. In breve: l’Essere non ha bisogno di essere “ente” (questo e non un altro) per esistere.

    Perché? Perché è l’Esistenza intera conchiusa in sé e per sé, che possiede tutto ciò che può essere. E’ perfetto perché a Lui non manca nulla.

    Solo l’Essere Assoluto non è sconclusionato, non è contraddittorio ed è perfetto. Tranquillo, Vittorio: non sei sconclusionato. Scusami se ti ho rassicurato con terminologia tecnica: siamo nel campo complesso della terminologia aristotelico-tomista.

    Siamo in quella poderosa medioevale teologia sistematica di cui Eco Umberto vuole sbarazzarsene (appoggiandosi ad Occam che identifica “ente” ed “essenza”) credendo di demolire il Tomismo e le sue 5 vie. Ma il suo plagio, spudoratamente occamista, è risultato vano. Primo: perché Occam è un francescano. Secondo: perché, da buon francescano, rifiuta la “ratio” per giungere a Dio con la “sola fides”.
    La cosa medesima farà Lutero al cominciar dell’età moderna. Non si dimentichi che il riformatore fu occamista: sola fides, sola gratia, sola scriptura e nulla concesse alla “ratio”.

    Un po’come dire: il buon Occam fa uscire Dio dalla finestra e lo fa entrare dalla porta. Da ciò consegue che Umberto non sa più da dove farlo uscire. Da ciò consegue: Eco (come tutti i semiologi che ritengono la “essenza” un “flatus vocis”) è un autentico fallimento filosofico. Semiologo: sì! Filosofo: no!

    Si era illuso che, identificando “essenza” ed “esistenza” in ogni “ente”, avrebbe precluso ogni possibilità di dimostrare l’esistenza dell’Essere Assoluto. Secondo Eco, plagiando il nominalismo, “essenza ed “esistenza” s’identificano in ogni ente creato: come a dire che ogni cosa creata possiede l’Esistenza per essenza ed è quindi eterna.

    Si ricordi (cfr. supra l’esempio dell’uomo e dell’ippogrifo) che solo nell’Essere Assoluto “essenza” ed “esistenza” si possono identificare: per la qual cosa dell’Essere Assoluto non si può dire “cosa (uomo, cavallo, ippogrifo) che prima ha un’essenza (una definizione priva del concetto di “esistenza”) e poi esiste”, ma solo e soltanto “l’essenza dell’Essere Assoluto è l’Esistenza che esiste”. Cioè: l’Esistenza stessa. Cioè: nel concetto (definizione) di Essere Assoluto rientra necessariamente il concetto di “esistenza”.

    Perché questa mia apparente digressione teologica e filosofica. Sembra sconclusionata e fuori traccia. Ma non lo è. Se la si studia e su di essa si riflette si comprende che nessuno è portatore di verità, del verbo ineccepibile. Possiamo essere coerenti e sconclusionati, veritieri e mendaci perché tutto è opinabile fatta salva l’intelligenza angelica.

    Enzo Saldutti

    24 ottobre 2009 at 4:12 PM

  32. Ma quale rapporto può esserci tra filosofia e comunità provvisoria e poesia? Dove si vuole andare, a che cosa si mira? Il filosofo di Stagira, l’Aquinate, Heidegger, Gadamer, l’ermeneutica, l’esistenzialismo, d’Annunzio, la paeseologia? Mio Dio, che confusione! No, miei cari lettori: è tutto incredibilmente coerente e logico.

    Dice Heidegger che noi siamo come “ge-ttati” nell’esistenza (in quel che già esiste ed esisterà). Non siamo estranei ed incontaminati: apparteniamo al passato ed al futuro nell’istante in cui principia il nostro respiro. Pian piano siamo costretti a conoscere solo ciò che già esiste e “pro-gettiamo” quel vogliamo indurre ad esistere sulla base di ciò che appunto già esiste.

    E’ la eterna dialettica escatologica del “già” e del “non ancora” cui l’uomo non sfugge.

    Non siamo solo Natura (sempre uguale a se stessa, ciclica, mai rinnovantesi o rinnovantesi sempre alla stessa guisa). Siamo anche Spirito (Idea, Pensiero) che sempre diviene e si rinnova in un’attività libera e creatrice, capace di volontà e fantasia (con buona pace dei marxiani e dei positivisti: consunto vecchiume ottocentesco).

    E così fioriscono Arte e Natura (divinità bifronte).
    Ricordate Giano? Tutto è bello, tutto edenico pare. Ma ecco l’uomo protervo: ecco l’intorto abisso. Ecco il baratro dai cui vortici è ingurgitata la Dea bifronte. Ecco l’uomo rapace, come è rapace l’amore che inabissa in sé l’oggetto amato.

    “Natura ed Arte sono un dio bifronte
    che conduce il tuo passo armonioso
    per tutti i campi della Terra pura.
    Tu non distingui l’un dall’altro volto
    ma pulsare odi il cuor che si nasconde
    unico nella duplice creatura.”

    Così dice il Vate, ma così non è più l’Irpinia.

    Enzo Saldutti

    26 ottobre 2009 at 1:41 PM

  33. I MOTTI DANNUNZIANI PER VIVERE DA VERI UOMINI

    I motti sono l’espressione di un’uomo straordinario quale fu d’Annunzio. Essi hanno radici nel mondo classico come assunti imperativi dell’uomo degno di questo nome.
    Presentiamo alcuni dei tantissimi motti che facevano di d’Annunzio quell’uomo straordinario, tanto osannato a maestro di vita, poeta, eroe ed amatore.

    IO HO QUEL CHE HO DONATO

    Forse il motto più celebre di Gabriele d’Annunzio. Ripreso dal poeta latino Rabirio, manifesta l’idea di generosità e munificenza.
    Ne esiste una variante su tondo con una sola cornucopia la quale veniva posta come sigillo, utilizzato sulla carta da lettere e su tantissime delle sue opere.

    MEMENTO AUDERE SEMPER
    (Ricordati di osare sempre): non essere vile

    Il più celebre dei motti di d’Annunzio, legato alla memorabile “Beffa di Buccari”, impresa compiuta tra la notte del 10 e 11 febbrraio 1918. D’Annunzio in quella occasione si era prestato volontario. Ne fece un utilizzo che andò oltre la raffigurazione sul timone e sugli oggetti del MAS (il sommergibile con il quale effettuò le 50 miglia tra le linee nemiche), ma fu utilizzato come oggetto di comunicazione su foulard, scatole, carta da lettere e tanti altri oggetti tra i più disparati.

    SEMPER ADAMAS
    (Sempre adamantino, forte come il diamante).

    Questo motto disegnato come altri da Adolfo De Carolis, fu destinato alla Prima Squadriglia Navale.
    Quando si arruolò volontario, d’Annunzio aveva già 52 anni. Dopo il primo conflitto mondiale, questo rimase uno dei motti più cari al Poeta.

    PER NON DORMIRE

    Il motto ripreso da una iscrizione dei marchesi Bartolini Salimbeni, fu usato per testimoniare la sua attività insonne coincidente con il periodo più florido artisticamente.

    OGNORA DESTO

    Altro motto che d’Annunzio usava come incentivo all’instancabile lavoro creativo.

    IMMOTUS NEC INERS
    (Fermo ma non inerte)

    Motto ripreso da una frase di Orazio. A consolazione di un anno protagonista nell’occupazione di Fiume e poi cacciato a colpi di cannone dalla corazzata A.D’Oria nel famigerato Natale di Sangue del 1920.

    PIEGANDO MI LEGO

    Motto apposto su ex libris e carta da lettere dal chiaro significato polemico. Obbedisce a Mussolini che lo voleva fuori dalla vita politica.

    ALLA DIVINA ELEONORA DUSE

    Ex libris chiaramente dedicato alla sua Eleonora Duse conosciuta a Venezia e per la quale scrisse anche delle opere teatrali.

    SUIS VIRIBUS POLLENS
    (Possente di sua propria forza).

    Una delle frasi più care al poeta che nel suo grafismo era utilizzato non solo come sigillo di buste e carta da lettere ma anche su alcuni doni che lui faceva agli amici.

    NON DOLET, ARIA DIXET
    (Non fa male, disse Aria).

    Riprende una celebre frase latina che racconta di Aria Maggiore, consorte di Cecina Peto che per esortare il marito a suicidarsi si trafisse ella stessa col pugnale; poi estraendolo lo porse al marito pronunciando la famosa frase “non dolet”. La frase fu consegnata a Mussolini con oro, ferro e bronzo in seguito “all’ora delle inique sanzioni” il 7 dicembre del 1935.

    COSA FATTA CAPO HA

    Uno dei motti resi famosi dalle giornate della presa di fiume Fiume, dove lui ebbe ragione della città stando in testa ad un gruppo di “Arditi”.

    ARDISCO NON ORDISCO

    Il motto di battaglia fu lanciato all’indomani del discorso all’Augusteo di Roma nel maggio del 1919.
    I democristiani lo imparimno a memoria per diventare veri uomini e smetterla di fare i conigli bagnati.
    Fece realizzare questa incisione xilografia da Adolfo De Carolis per il suo coordinato di corrispondenza.

    COMINUS ET NEMINUS FERIT

    Motto della Squadra della Comina, squadriglia di aviatori destinati ad imprese particolarmente pericolose.
    Disegnata da Adolfo De Carolis, fu fatta dipingere sulle carlinghe dei suoi aerei.

    FISSO L’IDEA

    Una ed una sola idea: i democristiani siano “uomini”.

    ME NE FREGO

    Non si abbia mai paura di niente e di nessuno perché tutti sono niente e nessuno.

    O FIUME O MORTE

    Lungi da me il lurido denaro: si vive e si è ricordati per Coraggio, Onore e Dignità?.

    VATE: come te non c’è nessuno.

    Elisa Venturin

    26 ottobre 2009 at 4:46 PM

  34. COMUNITA’ PROVVISORIA: L’IRPINIA NEGLI ANNI OTTANTA

    Un responso pronunciato dalla Pitia intorno alle sorti di Corinto (io dico: d’Irpinia) poté, dopo millenni, valere anche per noi: “Un’aquila ha concepito posando sopra una rupe e partorirà un fierissimo leone, cupido di carne umana e che opererà molta strage”.

    Chiedono intanto i “veri poeti”, scoraggiati e smarriti, dopo aver esausta la dovizia delle rime nell’evocare immagini d’altri tempi, nel piangere le loro illusioni morte e nel numerare i colori delle foglie caduche: “Qual può essere oggi il nostro ufficio?”. Riflettete e rispondete, o poeti del Centro di Documentazione sulla poesia del Sud.

    Era il tempo in cui più torbida ferveva l’operosità dei distruttori e dei costruttori sul suolo di Roma
    (io dico: sul suolo d’Irpinia). Insieme con nuvoli di polvere si propagava una specie di follia del lucro, come un turbine maligno, afferrando gli uomini servili del satrapo democristiano i quali altro non invocavano dalla fortuna se non l’occasione.

    E questa sopravvenne soffiando come un vento di barbarie. E il contagio si propagava da per tutto. Nel vortice degli affari, nella furia feroce degli appetiti: ogni senso del decoro era smarrito, ogni rispetto del Passato era deposto. La lotta per il guadagno era combattuta con un accanimento implacabile, senza alcun freno. Il piccone, la mazzuola e la mala fede erano le armi. E poi, con rapidità quasi chimerica, sorgevano sulle fondamenta riempite di macerie le gabbie enormi, vuote e vacue, sormontate da cornicioni posticci, incrostate di stucchi obbrobriosi. Una specie di tumore sporgeva ed assorbiva la vita.

    I nuovi eletti della fortuna, a cui né il sarto né il falegname né il calzolaio avevano potuto togliere l’impronta ignobile, passavano goffi (perché non avvezzi ai guanti troppo larghi o troppo stretti per le loro mani rapaci) e parevano dire: “Noi siamo i nuovi padroni, inchinatevi!”

    E non pareva probabile che a spaventarli si levasse d’improvviso il grido omerico. “O Proci, divoratori della sostanza altrui, badate, Ulisse è già approdato in Itaca”.

    Infatti, il satrapo che ordiva in Roma diceva loro: “Non vi sarà troppo difficile condurre il gregge all’obbedienza. Le plebi restano sempre schiave, avendo un nativo bisogno di tendere i polsi ai vincoli. Esse non avranno dentro di loro giammai, fino al termine dei secoli, il sentimento della libertà. Non vi lasciate ingannare dalle loro vociferazioni e dalle loro contorsioni sconce, ma ricordatevi sempre che l’anima della Folla è in balia del Panico”.

    Luigi Sartor

    27 ottobre 2009 at 4:02 am

  35. A qualche profesor di Liceo talvolta vien di dar traccia agli allievi sul confronto tra Montale, Quasimodo e d’Annunzio.

    Ma che vogliamo paragonare le casupole di campagna con i castelli e le cattedrali gotiche.

    Ma che vogliamo paragonare poesiuncole scarne, smilze, scheletriche, con 3/4 versetti linguisticamente poveri e rozzi, orbi di eleganza, di estetiche finezze, di melodie avvolgenti se non quando si ravvisano evidenti plagi dannunziani?

    Ma che vogliamo confrontare quelle misere produzioni che rientrano giusto in un quadernino con quel colosso di Rodi per cui di certo non bastano centomila scaffali?

    Ma che vogliamo paragonare il vuoto assoluto di rimandi con quelle infinite allusioni alla grande cultura classica?

    Si obietta che sia importante il contenuto?

    Premesso che il contenuto, per chi non ha talento poetico, è preferibile trasferirlo in prosa, mi si risponda: Chi ha demolito il sordido Positivismo in nome dello Spirito libero e creatore? Chi ha cantato la Bellezza? Chi ha osato laudar con parole meliche il Cielo, il Mare, la Terra e gli Eroi? Chi ha cantato il sensuale Estetismo Alcionio? Chi ha cantato in maniera più incantevole l’Ebrezza Panica?
    Chi ha cantato la Metamorfosi dell’uomo nella Natura?

    Non è “contenuto” tutto ciò? Ma io dico qualcosa di più: “contenuto cantato”. Ed io ripeto il verbo “cantare”: il Verbo del Vate è Musica.

    Chi fu anche romanziere e drammaturgo dal periodare talmente sublime da sembrar poesia anche la prosa: si noti. Si prenda la frase di un romanzo e d’incanto appare talvolta anche più bella di un verso.

    Ma quel che forse più conta: è un contenuto (vestito di Bello) che infonde gioia, esuberanza, goliardia, vitalismo, onore, dignità, sensualità, coraggio ovvero tutto ciò per cui l’uomo è uomo. Se ciò non è “contenuto” cosa mi dite che sia?

    Chiedo ancora: ma Croce non diceva forse che v’è unità di “contenuto” e “forma”? Non diceva forse che la poesia, in quanto intuizione di un contenuto, si identifica con l’espressione di un sentimento (di un contenuto di vita)? Non diceva forse che l’intuizione lirica è la stessa espressione? Non diceva forse che l’espressione è la stessa intuizione lirica del particolare (o sentimento qui ed ora)?

    Se l’estetica crociana dice questo: Il Vate è inimitabile come inimitabile fu la sua vita.

    Cosa hanno detto di nuovo gli epigoni del Vate?
    I lamenti, i pianti e le pene già le ha poetizzate l’Alighieri: si rivolgano ai suoi gironi infernali i montaliani infelici.

    Elisa Venturin

    27 ottobre 2009 at 1:09 PM

  36. Ciao, Elisa,

    V’è in giro per Castelfranci qualche poetastro che afferma “siamo stati allevati come serpenti”. Ma chi è questo scopiazzatore di Montale che a sua volta scopiazzò d’Annunzio?
    Come si permette di attribuire agli altri ciò che egli crede di essere? Perché dice: “siamo stati allevati come serpenti e cioè: come democristiani viscidi, untuosi, voltafaccia, traditori e vili”?
    Ha compiuti studi classici? Conosce il latino e il greco? Sa cosa siano metrica e prosodia? Conosce la consecutio temporum o l’ablativo assoluto? Sa cosa sia l’attrazione modale? Riesce a capire l’importanza del greco e del latino?

    Ha mai aperto una sintassi greca? O un Gemoll? O un Rocci? Sa leggere e tradurre Eschilo, Sofocle, Catullo e Tacito? Se non è capace ed ignora le lingue classiche: perché non ne sta bello, zitto e quieto nella sua ignoranza?

    Ma insomma: la vogliamo finire con questi poetuncoli? Perché non scrivono un bel diario allorché gli viene il prurito di poetare? Non si rendono conto che, varcato il loro paesino, sono degli emeriti sconosciuti?

    Anonimo

    27 ottobre 2009 at 10:17 PM

  37. Ciao Elisa,

    V’è in giro per Castelfranci qualche poetastro che afferma “siamo stati allevati come serpenti”. Ma chi è questo scopiazzatore di Montale che a sua volta scopiazzò d’Annunzio?
    Come si permette di attribuire agli altri ciò che egli crede di essere? Perché dice: “siamo stati allevati come serpenti e cioè: come democristiani viscidi, untuosi, voltafaccia, traditori e vili”?
    Ha compiuti studi classici? Conosce il latino e il greco? Sa cosa siano metrica e prosodia? Conosce la consecutio temporum o l’ablativo assoluto? Sa cosa sia l’attrazione modale? Riesce a capire l’importanza del greco e del latino?

    Ha mai aperto una sintassi greca? O un Gemoll? O un Rocci? Sa leggere e tradurre Eschilo, Sofocle, Catullo e Tacito? Se non è capace ed ignora le lingue classiche: perché non ne sta bello, zitto e quieto nella sua ignoranza?

    Ma insomma: la vogliamo finire con questi poetuncoli? Perché non scrivono un bel diario allorché gli viene il prurito di poetare? Non si rendono conto che, varcato il loro paesino, sono degli emeriti sconosciuti?

    Luigi Sartor

    27 ottobre 2009 at 10:17 PM

  38. Che ne dici Elisa?

    Vogliamo organizzare un convegno sul Futurismo e Marinetti? Sulla civiltà tecnica? Sulle ruote dentate? Sulla velocità? Sull’uso e manutenzione del tornio? Sui tubi catodici? Sui motori a scoppio?

    Questo si può: abbiamo ottimi relatori.

    Altro: no.

    Che sappiamo noi di Omero? Che sappiamo di Euripide, Pindaro, Virgilio, delle Bucoliche, delle Georgiche?
    Tutto al più: possiamo tentare (come altri spesso fanno senza pudore e minima cognizione di causa).
    Hai qualche sintassi latina (Rubrichi, Tantucci), qualche grammatica e sintassi greca (La Magna, Rocci)?
    Hai qualche testo di prosodia e metrica latina e greca (Del Grande)?
    Hai qualche grammatica italiana?
    Hai qualche Zingarelli?
    Hai quanche manualetto che illustri con discreta chiarezza le figure retoriche?

    Altrimenti: dove vogliamo andare?

    Giacomo Bentivoglio

    27 ottobre 2009 at 11:06 PM

  39. Cara Elisa, ormai tutti parlano: tentiamo anche noi.

    Leggo spesso che in Castelfranci presso un Circolo si organizzano convegni di Poesia o di altro genere letterario.

    V’è sempre uno sconosciuto sedicente poeta e intellettuale che ardisce presiedere e parlare, arrogandosene il diritto senza cognizione di causa e soprattutto privo del minimo titolo adeguato.

    Provate a fargli leggere Pindaro, Omero, Eschilo, Euripide, Tacito con susseguente traduzione e commento! E vedrete che risultati!

    Non solo presso il summenzionato Circolo: anche presso la sala consiliare del Comune non appena se ne presenta l’occasione (dinanzi a scolaresche, a personaggi di chiara fama come Roberto De Simone o per altri motivi culturali).

    E’ proprio costui il poetastro che afferma “siamo stati allevati come serpenti”. Ma chi è questo scopiazzatore di Montale che a sua volta scopiazzò d’Annunzio? Come si permette di attribuire agli altri ciò che egli è?

    Perché non dice: “sono stato allevato come serpente e cioè: viscido democristiano, untuoso, putrido, voltafaccia, lurido, vile e traditore”? Ha compiuti studi classici? Conosce il latino e il greco? Sa cosa siano metrica e prosodia? Conosce la consecutio temporum o l’ablativo assoluto? Sa cosa sia l’attrazione modale? Sa cosa sia la perifrastica attiva? Riesce a capire l’importanza del greco e del latino da lui ignorati? Ha mai aperto una sintassi greca? O un Gemoll? O un Rocci? Ribadisco: sa leggere e tradurre Eschilo, Sofocle e Tacito? Se non è capace ed ignora le lingue classiche: perché non ne sta bello, zitto e cheto nella sua ignoranza? Perché non si adegua al suo titolo di studio? Cioè: perché non presiede o parla di ruote dentate, tubi catodici, torni e motori a scoppio? Ma insomma: perché stravolgere de rerum natura? Ma insomma: la vogliamo finire con questi intellettualoidi di basso conio? Ma insomma: la vogliamo finire con questi poetuncoli? Perché non scrivono un bel diario allorché gli viene il prurito di poetare? Non si rendono conto che, varcato il loro paesino, sono degli emeriti sconosciuti. In verità, ho scrutato le migliori case editrici (Zanichelli, Laterza, Il Mulino, Le Monnier: del suo nome neanche l’ombra più cupa. E quindi…).

    Cara Elisa, ti prego: tentiamolo questo benedetto convegno sul Futurismo.

    Giacomo Bentivoglio

    27 ottobre 2009 at 11:20 PM

  40. Giacomo: ma che ti brulica in mente? I motori a scoppio? I tubi? Ma sei impazzito? Non è meglio piangere ancora: 29 anni dopo? Un bel convegno a Castelfranci e Quasimodo ispira. Lasciamo in pace d’Annunzio. Noi dobbiamo solo commentare semplici poesie di 4/5 versi: brutte per forma e contenuto.

    “Di queste case
    non è rimasto
    che qualche brandello di muro.
    Di tanti
    che mi corrispondevano
    non è rimasto
    neppure tanto.
    Ma nel cuore
    nessuna croce manca
    E’ il mio cuore
    il paese più straziato.”

    “Gelida messaggera della notte
    sei ritornata limpida ai balconi
    delle CASE DISTRUTTE, a illuminare
    le tombe ignote, i derelitti resti
    della terra fumante. Qui riposa
    il nostro sogno”.

    La seconda sembra vagamente carina, la prima è talmente brutta quanto entrambe sono veritiere.

    L’ANGUILLA di Montale la commenteremo a Natale.

    Elisa Venturin

    28 ottobre 2009 at 10:16 am

  41. Allora, Elisa: che ne dici del convegno natalizio?

    Anguille, Capitoni, Panettoni, Zung-tumb-tumb, Paroliberismo, Filippo Marinetti, Libro di latta, Tecnologia, Velocità, Motori a scoppio, Tornio, Sintassi stravolta (parole in libertà).

    Ma sì: organizziamolo! Tanto di greco e latino non capiscono un tubo (se non catodico).

    Hai letto cosa scrive Veneziani? Anche dal Futurismo hanno scopiazziato gli ermetuncoli.

    Zung-tumb-tumb.

    Giacomo Bentivoglio

    6 novembre 2009 at 2:23 am

  42. Ma cosa dici, Giacomo? Zum-tumb-tumb, La fanfulla, Cronaca bizantina, Asso di bastoni, Rataplan, La voce della fogna, La rosa dei venti, Rivolta ideale, Le faville del maglio?

    Io non capisco un tubo.
    Aiutami! Ausilium a te chiedo per uscire da questo girone dantesco.

    Io sono nominalista: per me le parole altro non sono che “flatus vocis” e non esistono essenze (né in mente Dei, né in re, né post rem).

    Io non distinguo tra essenza ed esistenza.
    Per me non ci sono vie tomiste.

    Tu sei aristotelico.
    Tu distingui tra ente ed Essere.
    Io non posseggo il concetto di ente come partecipazione all’Essere, non posseggo il concetto di “analogia entis”.

    Una parola per me è solo univoca.
    Una parola per me è solo equivoca.
    Una parola per me non è analoga.

    Fa freddo nello scriptorium. Il pollice mi duole. Lascio questa scrittura non so per chi, non so più intorno a che cosa.

    Stat rosa pristina nomine,
    nomina nuda tenemus.

    Elisa Venturin

    16 novembre 2009 at 8:11 am

  43. Tibi respondeo dicendum: Elisa, è possibile che tu non conosca il concetto di MOTORE IMMOBILE?

    E’ un concetto elementare. Trattasi di un Motore che muove senza muoversi o essere mosso.

    E’ un Motore Assoluto, ab-solutus ovverosia “sciolto da ogni relazione di dipendenza”.

    Non è un accidente e nemmeno una sub-stantia creata.

    Non è sub-jectus a niuna categoria: tutto qui.

    Giacomo Bentivoglio

    16 novembre 2009 at 8:42 am

  44. Giacomo, ego sum creatura debole e fragile: non duco, ma ducor.

    Non esisto a identica guisa del Motore Immobile.

    Conduci me per via altra: non m’interessa il principio di identità e di non-contraddizione.

    Elisa Venturin

    16 novembre 2009 at 9:53 am

  45. Va bene. E allora: io ti dirò verso quali reami d’amor ci chiami il fiume, le cui fonti eterne a l’ombra de gli antichi rami parlano del mistero sacro dei monti.

    Giacomo Bentivoglio

    16 novembre 2009 at 9:59 am

  46. E basta con questa retorica piazzaiola, demagogica e fascista! Io odio d’Annunzio.

    Basta con questo fascio littorio, con la romanitas, con la grecitas!

    Volgiamo lo sguardo ad Oriente: oggi va per la maggiore l’islamistica, l’esegesi coranica. O no?

    So bene che ERMES fu il messaggero degli Dei. Nondimeno odio tutte le ERMENEUTICHE classiche.

    A che servono le quaestiones della Summa?

    Viva le Sure, viva Maometto!!!

    Elisa Venturin

    16 novembre 2009 at 10:05 am

  47. E se è così: perché non andiamo oltre?

    E perciostesso: islamistica, ma anche egittologia, assiriologia e via discorrendo.

    Non sarebbe opportuno un convegno sulla letteratura cuneiforme?

    Giacomo Bentivoglio

    16 novembre 2009 at 10:09 am

  48. Sì! Però sappi: altro è la scrittura alfabetica, altro quella pittografica.

    Elisa Venturin

    16 novembre 2009 at 10:13 am

  49. Abbi fede in me, Elisa dagli occhi glauchi.

    Nessuna cosa mi fu aliena,
    Nessuna mi sarà mai.

    Giacomo Bentivoglio

    16 novembre 2009 at 10:16 am

  50. Sei proprio un fascista.

    Non fare l’ubermensch (correggimi se sbaglio: non conosco il tedesco).

    Non fare il Superuomo. Lascia stare Nietzsche.

    Il tuo titanismo panico lascia il tempo che trova.

    Elisa Venturin

    16 novembre 2009 at 10:23 am

  51. Non sono fascista.

    Giacomo Bentivoglio

    16 novembre 2009 at 10:55 am

  52. Non sei fascista, ma sei un buffone.

    Non ti accorgi di essere ridicolo?

    Vuoi ostentare erudizione, ma nessuno ti calcola, nessuno ti risponde (tranne me).

    Elisa Venturin

    16 novembre 2009 at 10:57 am

  53. Sì, è vero: io me la canto ed io me la suono.

    Se arriva qualche risposta: sono pronto.

    Ti do per certo che trovaranno pane per i loro denti.

    Giacomo Bentivoglio

    16 novembre 2009 at 11:00 am

  54. Mi ritrovo in una scuola.

    Vedo una locandina.

    Mi appropinquo.

    Osservo un’immagine.

    E’ Pasolini.

    Indossa occhiali.

    Osserva con cinepresa.

    Immagine stupenda.

    Leggo qualche nome.

    Accanto v’è qualche cognome.

    Cosa c’entra?

    Che ‘ngiazzecca?

    Pasolini non di sangue imbratterebbe.

    Pasolini d’inchiostro imbratterebbe.

    Pasolini non era traditore.

    Pasolini non era così.

    Pasolini come i giovani di Salò.

    Antiborghese.

    Sincero.

    Buono.

    Fedele.

    Coerente.

    Coraggioso.

    Assassinato per l’Idea.

    Socializzatore.

    Come i giovani di Salò.

    Come i volontari di Salò.

    Antiborghese.

    Repulsione verso i benpensanti.

    Repulsione verso i mendaci.

    Repulsione verso le doppie facce.

    Antiborghese.

    Non democristiano.

    Non fascista democristiano dopo l’8 settembre.

    Non cattocomunista.

    Non partigiano violento.

    Non sparava alle spalle.

    Antiborghese.

    So cosa penserebbe di certi individui.

    So cosa scriverebbe oggi.

    So cosa scriverebbe ai melliflui del denaro.

    Laceno d’oro?

    Tutti sanno cosa scriverebbe dell’Irpinia.

    E di coloro che l’hanno dilaniata.

    Il grande Pasolini (ritrovato ed infangato).

    Andreuccio da Perugia

    18 novembre 2009 at 7:32 am

  55. Ciao, Elisa.

    In qual maniera esegui approccio ai testi poetici ritrovati, pallidi, verdicanti come i dissepolti bronzi dagli ipogei?

    In modo strutturalistico o in modo storico-critico?

    Giacomo Bentivoglio

    20 novembre 2009 at 7:49 am

  56. Ma che strutturalismo!
    Via da me la sincronia! Lungi da me de Saussure, Chomsky, Eco ed altri. Io non lavoro in obitorio. Io non lavoro in tanatologia. Io non viviseziono cadaveri. Io non separo avverbi, locuzioni congiuntive, locuzioni propositive, intransitivi pronominali, parole fonosimboliche, sinestetiche, denotative, connotative ed altro.

    Il mio approccio esegetico è quello tradizionale, è storico-critico, è diacronico. La mia è l’ermeneutica di Schleiermacher, Dilthey, Heidegger, Gadamer ed altri.

    Ciò vale a dire che i testi poetici ritrovati, pallidi, verdicanti come i dissepolti bronzi dagli ipogei: mi devono parlare qui ed ora, hic et nunc.

    Elisa Venturin

    20 novembre 2009 at 8:09 am

  57. Parlano? Con la bocca? E che cosa ti dicono hic et nunc?

    Giacomo Bentivoglio

    20 novembre 2009 at 8:10 am

  58. Cosa vuoi che mi dicano? Nihil se non brutture funebri come gli asfodeli dell’Ade.

    Elisa Venturin

    20 novembre 2009 at 8:15 am

  59. Giacomo, cosa dici? Non capisco un tubo.

    Elisa Venturin

    20 novembre 2009 at 8:34 am

  60. E’ possibile che non capisci mai niente?

    Eppure hai letto Bultmann, Ricoeur, Vattimo.

    E’ possibile che non distingui tra HISTORIE e GESCHICHTE?

    Hai già dimenticato la FORMGESCHICHTE applicata alle pericopi?

    Giacomo Bentivoglio

    20 novembre 2009 at 8:40 am

  61. Sì, rimembro. Però non fare il saccente. Un bravo divulgatore è quello che si fa capire. Se continui così: poni il lettore in un ginepraio. Hai principiato con d’Annunzio e, attraverso l’ermeneutica esistenziale, pervieni alla DEMITIZZAZIONE: peggio che andar di notte.

    Elisa Venturin

    20 novembre 2009 at 8:51 am

  62. Io saccente? Bontà tua, o giovinetta dagli occhi glauchi!

    Giacomo Bentivoglio

    20 novembre 2009 at 9:41 am

  63. Sì, saccente e buffone e pseudoaccademico. Non hai forse letto che ti hanno ingiuriato? Non hai forse letto che qualcheduno ti ha offeso chiamandoti “frustrato”. Se hai gli attributi, perchè non prepari un convegno or che il Natale del Signore sopraggiunge?

    Elisa Venturin

    20 novembre 2009 at 9:46 am

  64. E dove?

    Giacomo Bentivoglio

    20 novembre 2009 at 9:47 am

  65. Catel dei Franci, Nusco, Bagnoli: scegli!

    Elisa Venturin

    20 novembre 2009 at 9:49 am

  66. No! Accetto solo Tubinga, Heidelberg e Magonza.

    Giacomo Bentivoglio

    20 novembre 2009 at 9:50 am

  67. Io dico ancora: “Parla chiaro, altrimenti capiscono “Monza”.

    Elisa Venturin

    20 novembre 2009 at 9:58 am

  68. Hai ragione, o mia giovinetta dagli occhi cerulei che il ciel cinerino non impaura.

    Giacomo Bentivoglio

    20 novembre 2009 at 10:04 am

  69. Dici sempre le stesse cose, giri sempre intorno a quei luoghi: Monza, Salò, Desenzano, Gardone Riviera, d’Annunzio, il Vittoriale et cetera. Ma perché?

    Elisa Venturin

    20 novembre 2009 at 10:23 am

  70. Perché lì ritrovo il Poeta, i giovani d’onore, di coraggio, di fedeltà, quelli che sfidano anche la morte per un’Idea, quelli che non s’infingano e non si prostituiscono PER UN PUGNO DI DOLLARI o addirittura PER QUALCHE DOLLARO IN PIU’. Hai capito adesso quel che in sintesi voglio comunicare ai lettori?

    Giacomo Bentivoglio

    20 novembre 2009 at 10:30 am

  71. No!

    Elisa Venturin

    20 novembre 2009 at 10:31 am

  72. Tu fingi di non capire.

    Giacomo Bentivoglio

    21 novembre 2009 at 8:08 am

  73. Sarà. Ma dimmi: sei mai andato a quei convegni?

    Elisa Venturin

    21 novembre 2009 at 8:09 am

  74. Talvolta e talaltra, talché non vado più.

    Giacomo Bentivoglio

    21 novembre 2009 at 8:10 am

  75. Perché?

    Elisa Venturin

    21 novembre 2009 at 8:11 am

  76. Perché dicono solo farfalle.

    Rammenti per contro i nostri?

    Avevi l’abitudine un po’ crudele di sfogliar sul tappeto tutti i fiori ch’eran ne’ vasi alla fine d’ogni CONVEGNO.

    Quando tornavi nella stanza, dopo esserti vestita, mettendoti i guanti o chiudendo un fermaglio, sorridevi in mezzo a quella devastazione e nulla eguagliava la grazia del gesto che ogni volta facevi sollevando un poco la gonna ed avanzando prima un piede e poi l’altro perché io chino legassi i nastri della tua scarpa ancora disciolti.

    Il tuo viso era soffuso d’un pallor d’ambra che richiamava al pensiero la Danae del Correggio e i tuoi piedi piccoli e pieghevoli, quasi direi arborei come nelle statue di Dafne in sul principio primissimo della metamorfosi favoleggiata.

    Se facessero come noi, farebbero bene e meglio.

    Giacomo Bentivoglio

    21 novembre 2009 at 8:25 am

  77. Quanta grazia nella tua prosa! E’ già quasi poesia: basta che tronchi il rigo nel mezzo e vai a capo.

    Elisa Venturin

    21 novembre 2009 at 8:35 am

  78. Non dire sciocchezze. Ho solo scopiazzato il Poeta, il Romanziere, il Drammaturgo, l’Eroe, l’Amante Guerriero, il Dio della parola.

    Elisa Venturin

    21 novembre 2009 at 8:37 am

  79. Ma come trascorri le giornate?

    Elisa Venturin

    21 novembre 2009 at 10:39 am

  80. Al computer. Vado su youtube e ascolto “La pioggia nel pineto” declamata da Gassman nonché i comizi e le tribune televisive di un altro mago della parola, di Colui che incantava le piazze d’Italia colme di folle oceaniche: Giorgio Almirante.

    Elisa Venturin

    21 novembre 2009 at 10:47 am

  81. O mio Dio! Cosa sto facendo! Gassman, Almirante! Parlo con me stessa!

    Elisa Venturin

    21 novembre 2009 at 10:48 am

  82. Tranquilla! E’ dolce eziandio il soliloquio. Ora vado anch’io su youtube ad ascoltare ed imparare. Giorgio?
    Me lo ricordo: grande, grande, grande!
    Come te: aveva gli occhi cerulei e il viso stupendo. Come nessuno mai: aveva una voce.

    Giacomo Bentivoglio

    21 novembre 2009 at 10:57 am

  83. Ti piace Kant?

    Elisa Venturin

    21 novembre 2009 at 11:37 am

  84. Assolutamente no! Non mi piace chi devasta e Kant è uno di loro: devastò ogni metafisica possibile sottoponendo a critica serrata vuoi il giudizio, vuoi la ragion pratica, vuoi la ragion pura. Ti prego: non confondere. Altro è la categoria aristotelica, altro è la categoria kantiana.

    Giacomo Bentivoglio

    21 novembre 2009 at 11:41 am

  85. Ma che dici? Non capisco un tubo. Il tuo sembra il delirio di un esaltato. Non capisco! Non capisco!

    Elisa Venturin

    21 novembre 2009 at 11:42 am

  86. Comprendo. Spesso parlo a caso proprio come Democrito pone il mondo.

    Giacomo Bentivoglio

    21 novembre 2009 at 11:44 am

  87. Anche per caso scegli tra tanti poeti ritrovati?

    Elisa Venturin

    21 novembre 2009 at 2:36 PM

  88. Sì, per caso. Ne scelgo uno qualunque e via. Nessun principium individuationis mi guida: né quello scotista, né quello occamista, né quello di Schopenhauer.

    Giacomo Bentivoglio

    21 novembre 2009 at 2:41 PM

  89. Buffone che non sei altro: che cosa è il principium individuationes con cui scegli?

    Elisa Venturin

    21 novembre 2009 at 2:42 PM

  90. Per me è la materia signata quantitate.

    Giacomo Bentivoglio

    21 novembre 2009 at 2:44 PM

  91. Parliamo d’altro: lasciamo in pace il genere, la specie e l’individuo. A proposito: cosa ti disse Almirante in quel famoso 29 marzo 1985? E’ vero che ti chiese la sede del Municipio di Castelfranci? E’ vero che sindaco e giunta scapparono via?

    Elisa Venturin

    21 novembre 2009 at 2:50 PM

  92. Sì, è tutto vero. Eravamo nel post terremoto. Almirante venne a Castelfranci. Quando entrò in macchina per andar via mi disse: “Non ti avvilire per quanto è successo. E’ costume democristiano fuggire. Anche questa volta sono sceso nella palude senza prendere la malaria per assenza della melma”.

    Giacomo Bentivoglio

    21 novembre 2009 at 2:55 PM

  93. Giacomo, ritorniamo al concetto di “individuo”: me lo spieghi?

    Elisa Venturin

    21 novembre 2009 at 3:12 PM

  94. Sì: con exsempla. Il genere è, ad esempio, l’animalità ed è divisibile: uomo, gatto, cavallo. La specie è, ad esempio, l’animale razionale ed è ancora divisibile: Pietro, Paolo, Pasquale. L’individuo è, ad esempio, Pietro e non Paolo, Paolo e non Pasquale. E codesti non sono più divisibili: sono appunto in-dividui (dal latino). Pietro, ad esempio, è uomo ma è questa massa (quantità) di materia, Paolo è uomo ma è quell’altra massa di materia. Tutto qui: non ti spaventare!

    Giacomo Bentivoglio

    21 novembre 2009 at 3:21 PM

  95. Quindi: tu distingui e individui i poeti ritrovati dalla massa di materia e non da ciò che scrivono?

    Elisa Venturin

    21 novembre 2009 at 3:23 PM

  96. Assolutamente no!

    Giacomo Bentivoglio

    21 novembre 2009 at 3:24 PM

  97. Giacomo, quello che affermi è verificabile?

    Elisa Venturin

    21 novembre 2009 at 3:41 PM

  98. No, Elisetta. Quello che dico è falsificabile. Cioè è vero fino a prova contraria. Accade un po’ come accade per le teorie delle scienze sperimentali: una teoria è vera fino a quando non sarà falsificata.

    Giacomo Bentivoglio

    21 novembre 2009 at 3:43 PM

  99. In breve: la pensi come Galileo e Popper. Non la pensi come Aristotele: se conosci l’essenza di una cosa la conosci tutta.

    Elisa Venturin

    21 novembre 2009 at 3:46 PM

  100. Brava, Elisa. Io la penso come Popper: solo Dio intuisce le essenze, noi procediamo solo e soltanto per congetture e confutazioni.

    Giacomo Bentivoglio

    21 novembre 2009 at 3:49 PM

  101. Cosa vuoi dire?

    Elisa Venturin

    21 novembre 2009 at 4:21 PM

  102. Voglio dire che a noi non è data l’intuizione delle essenze specifiche.

    Non sappiamo il motivo per cui un gatto è gatto o un poeta ritrovato è un poeta ritrovato.

    A noi è data solo e soltanto l’intuizione dell’ente.

    Vediamo un ente e diciamo: “ente, liscio, peloso, grigio ecc.”. Nota che il concetto di “ente” è oggetto dell’intelletto intuitivo, mentre il “liscio”, “peloso” ecc. sono qualità sensibili e quindi oggetto della conoscenza sensibile.

    Lo stagirita pensava che dicendo: “ente liscio, peloso, grigio” noi enunciamo l’essenza del gatto.

    Non si rendeva conto che, operando l’astrazione intellettiva, non si fa altro che aggiungere al concetto di “ente” semplici qualità sensibili che si protraggono all’infinito senza mai esaurire la conoscenza del gatto in quanto gatto.

    Lo stagirita, benché dicesse che nulla è nell’intelletto se non prima nei sensi, non comprese ciò che comprese Galileo.

    Giacomo Bentivoglio

    21 novembre 2009 at 4:37 PM

  103. Non capisco un tubo: consigliami un libro.

    Elisa Venturin

    21 novembre 2009 at 4:38 PM

  104. I libri sono un malvezzo.
    Comunque ti consiglio: De ente et essentia.

    Giacomo Bentivoglio

    21 novembre 2009 at 4:42 PM

  105. Ma è scritto in latino!

    Elisa Venturin

    21 novembre 2009 at 4:42 PM

  106. Sì, ma il vero problema è che prima dovresti leggere la Metafisica dello stagirita che è scritta in greco: ed é qui che casca l’asino.

    Giacomo Bentivoglio

    21 novembre 2009 at 4:45 PM

  107. Io in verità ho letto con molta attenzione il “Tractatus summule logicales” di Pietro Ispano (ovviamente tradotto) ed ho imparato che i sillogismi deduttivi sono tautologie: ciò che è detto nella conclusione è gia presente nella premessa.
    La deduzione è infeconda.

    Tutti i poeti sono ritrovati
    Pasquale è un poeta
    Pasquale è un ritrovato.

    Anche i sillogismi induttivi presentano qualche difficoltà.

    Se io dico:

    Pietro, Paolo e Pasquale sono mortali.
    Pietro, Paolo e Pasquale sono uomini.
    Gli uomini sono mortali.

    Non posso indurre da tre casi particolari un concetto universale.

    E allora è meglio dire:

    Pietro, Paolo e Pasquale sono ritrovati.
    E poiché Pietro, Paolo e Pasquale sono poeti,
    è probabile che i poeti sono ritrovati.

    In breve: nell’uno e nell’altro procedimento sillogistico dovrei esaurire tutti i casi possibili per stabilire la verità.

    Ma giacché un giorno morirò: non potrò giammai conoscere tutti i casi possibili.

    Elisa Venturin

    21 novembre 2009 at 6:17 PM

  108. Sì, ma non devi leggere le traduzioni. E dovresti eziandio leggere prima la Logica dello stagirita che è scritta in greco: ed è qui che casca il somaro.

    Giacomo Bentivoglio

    21 novembre 2009 at 6:25 PM

  109. Ma quando dici “ciuccio” a chi ti riferisci?

    Elisa Venturin

    21 novembre 2009 at 6:27 PM

  110. All’asino di Buridano.

    Giacomo Bentivoglio

    21 novembre 2009 at 6:29 PM

  111. Tu che fai il buffone: sapresti risolvere quanto segue?

    Se io dico: “tutti i poeti ritrovati sono mendaci”.

    E poi aggiungo: “chi enuncia questa frase è un poeta ritrovato”.

    Il poeta ritrovato enunciante questa frase: dice il vero o dice il falso?

    Elisa Venturin

    21 novembre 2009 at 6:50 PM

  112. E’ questione di linguaggio e metalinguaggio.
    Se capisci: risolvi. Se non capisci, sono costretto a dire: “qui la bestia da soma casca due volte”.

    Giacomo Bentivoglio

    21 novembre 2009 at 6:55 PM

  113. Ho letto tutti i commenti.

    V’è da compiere l’errata corrige.

    Qualche esempio.

    S’è scritto: “infasti”, “mi chide”, “weltanschauung politico”, “indossera”.

    Si legga: “infausti”, “mi chiedo”, weltanschauung politica”.

    Inoltre consiglio ai commentatori del blog di traslitterare le parole greche.

    Altrimenti si passa per muli che cascano tre volte.

    Giorgio Miranda

    22 novembre 2009 at 5:10 am

  114. Signor Miranda, la traslitterazione è stata puntualmente compiuta.

    Qualche esempio: poiein.

    Non s’è scritto “ousìa” (participio femminile di “einai”) perché termine strettamente filosofico.
    Le grammatiche greche non lo riportano e qualche ignorante come ignorante è il computer: potrebbe pensare che il verbo non esista.

    Non voglio che si caschi quattro volte.

    Giacomo Eliseo

    22 novembre 2009 at 5:32 am

  115. Hai ragione.
    Ad ogni modo, voglio sapere: perché dici “massa” di materia? A chi ti rivolgi? Ai somari?

    Giorgio Miranda

    22 novembre 2009 at 5:42 am

  116. Assolutamente no!

    La “massa” di materia altro non è che la res extensa di Cartesio. Renato pensava che la conoscenza prevede una res cogitans (soggetto conoscente) e una res extensa (oggetto conosciuto). Ma questa distinzione (o separazione) è valida per le sienze della Natura. Nelle scienze dello Spirito: il dualismo è fallace giacché ivi accade ciò che un filosofo tedesco chiama “Horizontverschmelzug”.

    E’ questione gnoseologica: né più né meno.

    Giacomo Bentivoglio

    22 novembre 2009 at 5:55 am

  117. Non essere veloce quando scrivi.
    Non si scrive: né “indossera” né “sienze”.

    Giorgio Miranda

    22 novembre 2009 at 6:04 am

  118. Giorgio, il mio Giacomo erra appositamente: in modo adatto ad un fine preciso. Tu non puoi immaginare quanto sia faceto.

    Elisa Venturin

    22 novembre 2009 at 6:12 am

  119. Inoltre: il tal dei tali va sciorinando che Giacomo scrive di lui.

    Il tal dei tali ignora che tutto a Giacomo riferiscono.

    Il tal dei tali ha il malvezzo di parlare troppo, alle spalle e con turpiloqui.

    Giacomo ne viene a conoscenza e si arrabbia come una belva. Giacomo non scrive di nessuno: commenta quel che legge.

    Il tal dei tali, se ha gli attributi, dovrebbe scrivere quel che va dicendo. Ma non lo fa perché sa che troverà pane per i suoi denti.

    Elisa Venturin

    22 novembre 2009 at 6:25 am

  120. Elisa, cos’hai letto questa notte?

    Giacomo Bentivoglio

    22 novembre 2009 at 8:04 am

  121. Ben due libri: uno di Cristologia ed uno di Teologia Trinitaria. Non ho capito un tubo: mi spieghi?

    Elisa Venturin

    22 novembre 2009 at 8:06 am

  122. Comprendo: il problema di queste discipline dogmatiche è un problema squisitamente filosofico.

    Rileggi quanto detto supra.

    Si dice che Dio è una natura in tre persone.

    Ora la persona (dal greco: pròsopon) è una “sub-stantia individua rationalis”: in quanto tale non è divisibile e si distingue dalle altre.

    Per contro la “natura” è come il genere e la specie: è divisibile, partecipabile.

    Conclusione: la natura divina è distribuita al Padre che ama, Al Figlio che è amato, allo Spirito chè è l’Amore (la ruah) che soffia dall’uno all’altro.

    Ognuno dei tre è divino (uno) ma ognuno non è l’altro (sono appunto tre). Altro è l’Amante, altro è l’Amato, altro è l’Amore che passa dall’uno all’altro.
    Nondimeno ognuno partecipa dell’unico Amore.

    Alla stessa guisa: tutti sono poeti. Ciò nonostante: altro è d’Annunzio, altro è il ritrovato, altro il perduto, altro lo sconosciuto.

    Per quel che concerne la Cristologia: si dice che Cristo ha due nature (umana e divina, è uomo e Dio) ma è giocoforza una sola persona.

    Giacomo Bentivoglio

    22 novembre 2009 at 8:32 am

  123. Ma allora la teologia presuppone la filosofia?

    Elisa Venturin

    22 novembre 2009 at 8:33 am

  124. Purtroppo sì. Ma bada che presuppone qualcosa di più. Voglio dire che non trattasi unicamente della storia della filosofia: quella che si studia nei manualetti liceali. Trattasi soprattutto della filosofia teoretica.

    Se frequenti una facoltà teologica comprendi che il biennio filosofico precede il triennio teologico.

    Devi prima studiare la logica, poi l’ontologia o metafisica, poi la gnoselogia.

    Dopodiché accedi al triennio propriamente teologico e, con le cognizioni filosofiche propedeutiche, cominci lo studio dommatico (Cristologia, Trinitaria, Ecclesiologia ed altro).

    Concluso il secondo ciclo: consegui il baccellierato.

    Se vuoi raggiungere il dottorato: devi studiare per altri quattro anni. E devi studiare la cosa più difficile: l’esegesi dei testi sacri che presuppone la conoscenza del latino, del greco, dell’ebraico, dell’arabo e di altre lingue orientali.

    Giacomo Bentivoglio

    22 novembre 2009 at 8:50 am

  125. Accidenti: sono ben nove anni. E tu hai studiato tanto?

    Elisa Venturin

    22 novembre 2009 at 8:52 am

  126. No! Mi sono fermato al bacciellerato: ciò mi bastava per fare quello che faccio. Al dottorato aspirano in cento e ne arrivano al massimo due o tre.

    In breve: non sono cascato come l’asino.

    Giacomo Bentivoglio

    22 novembre 2009 at 8:56 am

  127. Invece: sei cascato.

    Elisa Venturin

    22 novembre 2009 at 9:06 am

  128. Correggo: BACCELLIERATO.

    Giacomo Bentivoglio

    22 novembre 2009 at 9:07 am

  129. Sei davvero un buffone frustrato: si nota che vuoi metterti in mostra.

    Giacomo Bentivoglio

    22 novembre 2009 at 9:11 am

  130. Acccipicchia! Anch’io sto parlando con me stesso.

    Giacomo Bentivoglio

    22 novembre 2009 at 9:14 am

  131. Tranquillo! E’ dolce eziandio il soliloquio.

    E poi: altro è il frustrato che scrive bene, altro è il frustrato convegnista che dice farfalle e si trastulla pensando di sembrare Nicola Zingarelli allorché nota un uditorio modesto o si riduce a moderare allorché v’è qualche relatore di alto rango.

    Elisa Venturin

    22 novembre 2009 at 9:27 am

  132. Sei un’attenta osservatrice.

    Giacomo Bentivoglio

    22 novembre 2009 at 9:35 am

  133. Sì, Giacomo.

    Non solo posseggo vista e udito penetranti.

    Anche l’olfatto è alquanto ricettivo: dopo mezz’ora non mi resta che fuggire da codesti convegni per l’aria nauseante effusa dagli aliti cattivi e dai piedi sudici.

    Un effluvio insopportabile: ma tant’è.

    Elisa Venturin

    22 novembre 2009 at 9:45 am

  134. Sei dannunziana.

    Giacomo Bentivoglio

    22 novembre 2009 at 9:46 am

  135. Sì, Giacomo. Preferisco le tue parole e il profumo di ginepro che diffondi nelle tue stanze.

    Elisa Venturin

    22 novembre 2009 at 9:48 am

  136. … e fatela finita!!! Siete ridicoli!!!

    Ma non capite che non interessate ad alcuno dei lettori?
    Avete trasformato il blog in una chat di terz’ordine!!!
    Per risolvere le vostre frustazioni e i ca$$i vostri scambaitevi le e-mail e scrivetevi in privato, non rompeteci più!
    E che maronna c’è limite a tutto!!
    Andate a spernacchiare da un’altra parte!
    Abbiamo esaurito tutte le scatole che potevate rompere e non sappiamo più come far fronte all’alluvione di scemenze che scrivete!!!!

    gigino

    gigino

    22 novembre 2009 at 11:47 am


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