COMUNITA' PROVVISORIA

terra, paesi, paesaggi, paesologia _ il BLOG

interrogare il paesaggio

metto qui un testo che mi è appena pervenuto e mi pare interessante in vista del convegno paesologico del nove gennaio.

°°°°°

La “paesologia” di Franco Arminio potrebbe anche dirsi una pedagogia. Una pedagogia, però, che nulla ha da insegnare, ma, potremmo dire con una frase di Benjamin densa di significati, solo da mostrare. Tutt’al più ci indica un metodo, un modo di indagare il mondo applicabile in più campi, anche distanti da quello specifico del libro. Innanzi tutto l’oggetto di Vento forte tra Lacedonia e Candela, che ovviamente in quanto “contenuto” non dice affatto tutto, ma già fornisce di per sé un’idea precisa del percorso intrapreso dalla scrittura di Arminio. La paesologia è una disciplina che «potrebbe assegnare la bandiera bianca ai paesi più sperduti e affranti, i paesi della resa, quelli sulla soglia dell’estinzione»; in antitesi agli organi più blasonati che certificano le bandiere blu dei mari e quelle arancioni ai borghi più belli, la scienza di Arminio esplora luoghi di una normalità desolata, stazioni fisiche di una decadenza in sordina, dove tutto è privo di attrattive ma dove pure l’esistenza delle persone, né tante né poche, è garantita a un livello minimo di quieta sopravvivenza. Lontane dal bozzettismo, le descrizioni erratiche di Arminio, le sue pratiche esercitazioni, portano alla luce una geografia di curve, piazze fantasma, pianori, snocciolati sotto una luce crepuscolare, incapaci di configurare alcun interesse “turistico” per l’uomo contemporaneo, intrappolato nella continua caccia all’evento, al pittoresco, al sensazionale. Nei paesi visitati dall’autore, perlopiù racchiusi nella regione irpina ma che stanno come per sineddoche per luoghi omologhi di tutta Italia, si dà solo lo spettacolo smorzato di un’umanità ferma, dove l’ostentazione di una macchina potente si accompagna alla povertà spirituale, all’incapacità di organizzarsi per una vita più intensa. Qui, scrive Arminio, «Si trova il mondo come è adesso, sfinito e senza senso, con l’unica differenza che questa condizione si mostra senza essere mascherata da altro». Una fisiognomica contemporanea rilevata dal calco senza particolari escrescenze dei paesi marginali, inesistenti per i più, capace a dispetto della apparente non significatività universale dell’oggetto di mostrare il pericoloso e silenzioso scadere della nostra vita, giacché «nel paese la data di scadenza è ben visibile, come se per comporla bastasse mettere in fila dieci facce». Il viaggio di Arminio si dimostra essere un pellegrinaggio tra le rovine del progresso, tra coloro che rimangono, che vengono superati da un modello di vita inseguito senza mai poterlo raggiungere, secondo una «curva delirante» che passa per «paesologia, tanatologia, teratologia» e che rivela il significato più ampio dell’indagine antropologica compiuta.
Lo sguardo che documenta il profilo dei paesi percorsi non è un punto di vista affidabile. Incostante, errabondo, meteoropatico, patisce gli umori del soggetto, pur essendo questo segnato dall’«essere sfondato, senza fondo e senza coperchio, un tubo vuoto» disponibile all’attraversamento di sé e del mondo esterno. Soprattutto, conta l’attitudine a «cercare le cose che non ci sono», ad appoggiare la scrittura alle “delusioni” e alle “mancanze”, in una caccia ai segni della dissoluzione, agli indizi della marcescenza. Al semplice vedere si sostituisce la “visione”, quell’intersecarsi di sollecitazione materiale e nevrotica rimuginazione interiore che alimenta «la smania aforistica, la frase singola, spaiata» della prosa disincantata e sussultoria di Arminio.
Gli appigli sui quali si stendono i ritratti di questi “paesi arresi” sono povere cose, inezie di una terra desolata: anonime piazze raccolte intorno a distributori di benzina, bar più o meno pretenziosi frequentati da avventori piantati sulle sedie, muretti, uffici comunali, facciate di palazzi senza storia, o dalla storia sventrata, terremotata e quindi fermata, facce di vecchi e di giovani, macchine sovradimensionate, luci pigre e umide. La scrittura si avvolge intorno a ogni «dettaglio» capace di comunicare oltre l’aspettato, al di là del previsto dalla sua funzione, proprio là «dove il mondo è più spoglio», dove la realtà sembra incapace di offrire alcunché d’interessante, di significante.
Il peregrinare di Arminio interpreta i volti, allegorizza le posture, i movimenti della gente, compone «un piccolo erbario di gesti» che dà pregnanza fisica a un’umanità svuotata, triste, sconnessa al proprio interno e rispetto all’ecosistema che essa abita. Un paesaggio morale tuttavia sempre in mutamento, costretto a correggere la corrispondenza semantica e l’impressione umorale ad ogni passaggio, ad ogni ritorno. Le «poche scene» catturate dall’obbiettivo di Arminio mutano in diorami composti di dettagli, ciascuno dei quali può imporsi come determinante alla restituzione del clima.
“Interrogare il paesaggio” è lo scopo della paesologia, per leggere il presente a partire da ciò che gli uomini fanno della materia che li circonda, di come la trasformano e la usano, da una prospettiva rovesciata che afferra la «coda di un serpente a cui hanno tagliato la testa», il mondo occidentale. Il passo impiegato è consapevole della parzialità e della frammentarietà della percezione delle cose, è proprio cioè di «chi non avanza a vele spiegate», ma di «chi inciampa, chi sente la vita che si guasta giorno per giorno, paese per paese».

Laterza, Roma-Bari, 2009³, pp. 202, € 10,00.

Massimiliano Borelli

Written by Arminio

15 dicembre 2009 a 2:24 PM

Pubblicato su AUTORI

2 Risposte

Subscribe to comments with RSS.

  1. ho sempre sostenuto, anche pubblicamente, che il libro arminiano “vento forte…” aveva le caratteristiche del gioiello, del capolavoro, non a caso ha vinto il premio Napoli.

    Nel ribadire il mio apprezzamento per quell’opera mirabile, resto in attesa di leggere il nuovo annunciato libro di paesologia che dovrebbe uscire nel corso del 2010, dopo la parentesi di “nevica e …” ,apparso a molti lettori arminiani piuttosto autobiografico, per nulla paesologico, la cui appropriata interpretazione può essere agevolata dal prezioso aiuto di Donato Salzarulo.
    Attendiamo tutti l’elenco definitivo degli ammessi agli interventi nella giornata del nove gennaio duemiladieci castello di Grottaminarda con annessa scaletta.
    Grazie ,garbatamente Rocco Quagliariello

    rocco quagliariello

    15 dicembre 2009 at 4:38 PM

  2. Alcune sere fa ad avellino alcuni ragazzi alla domanda nel cerchio “perchè sto qua adesso?…” hanno risposto più o meno quasi tutti alla stessa maniera “mi sento solo”.

    Mi chiedo se questa è una condizione solo di chi vive nei paesi o anche una condizione oggi di chi vive la città. Se stiamo all’uso degli antidepressivi oggi in campania “u paese ru sole” (a differenza dei paesi scandinavi) restano i farmaci più usati ed in particolare nei grossi agglomerati urbani.

    La solitudine quindi non è solo fisica ma anche mentale e di valori.

    Per il 9 ho già annunciato su facebook che vorrei fare un piccolo intervento sulla figura del clown (colonus , contadino, lo zotico, l’inurbano) e/o Pagliaccio (colui che si rotolano nella paglia e nella merda) ….e qui cito il sommo poeta “ma dove stanno le cacate di vacca, di capra, e di pecore per le strade dei paesi ….e dove sta il grano e la paglia…..?

    su questo tema avanzo la proposta di un laboratorio di ricerca del clown (durata quattro giorni) da fare a cairano prima semmai dell’evento stesso cairano x 7 per riportare altri clown in piazza nei giorni dell’evento e semmai nell’occasione fare anche li un incontro di approfondimento sulla figura del clown.

    fatemi sapè che ne pensate

    a presto nanos

    Nanosecondo

    24 dicembre 2009 at 12:42 PM


I commenti sono chiusi.