COMUNITA' PROVVISORIA

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ARTE NELLA NATURA , ARTE DELLE ORIGINI

Posto qui di seguito l’intervento di Laura De Martino in occasione della presentazione del catalogo di Artemisia 2009, volume collettaneo delle opere di Anne Demijttenaere, un’amica della Comunità Provvisoria e altri artisti di OPERABOSCO, il museo di Arte nella Natura curato dalla stessa Anne a Calcata, nel paese in cui vive. Quella di Anne è una forma di Arte che vuole ritornare alle origini, quando l’uomo primigeno, per esprimersi, utilizzava i materiali naturali o incideva sulle rupi con  materiali non inquinanti. Un ‘arte ecologica”,  alternativa al “puro mercato dell’Arte”. In tal senso un’arte paesologica”, se mi si passa l’aggettivo. Infatti utilizza un approccio dolce con l‘ambiente: le opere già sono nella natura, basta osservare con attenzione ed evidenziarle con i suoi stessi materiali: alberi, saggine, sottobosco, pietra:L’artista non deve fare altro che un’operazione maieutica, assecondando  questi segni d’arte che la Natura stessa , nella sua entropia, lascia;  dar loro espressione e da qui costruire la propria forma di arte, che non è tuttavia ancorarsi al passato, ma proporre un futuro dell’arte “possibile”. E’ l’unica autentica forma d’arte praticabile e fruibile da tutti, perché deperible; l’unica forma d’arte radicalmente alternativa a un mercato drogato e controllato da “mafie” e baronie  attente solo a un’arte mercificata, a un’arte semplice produttrice di capitale. Questo, in sostanza, è  quanto, in proposito, ho inteso delle opere di Anne, del suo modus operandi e degli altri artisti che praticano questa forma di arte. L’anno scorso l’abbiamo avuta con noi a Cairano; ha lasciato un piccolo, significativo intervento sotto il frantoio, con pochi e semplici materiali naturali. Nel catalogo 2009 sono presentati tanti altri suoi interventi, assieme a quelli di altri artisti che condividono questa bellissima forma di espressività , ecologica e non invasiva. Il 21 Febbraio scorso, Al Palazzo Baronale di Calcata avemmo dovuto essere presenti, quali invitati, anche Franco Arminio e io, come amici della CP. Una serie di circostanze concomitanti per entrambi ci hanno impedito di esserci. Ad Anne va tutta la nostra stima e ammirazione . Sì, la sua è autentica arte paesologica, che potete ammirare nelle forre della Valle del Treia, nel viterbese e sul sito di OPERA BOSCO , qui : http://www.operabosco.eu (Salvatore D’Angelo)

OPERABOSO, CATALOGO ARTEMISIA 2009

di Laura De Martino

Allego questo testo scritto a seguito della presentazione dell’ultimo catalogo di Opera Bosco il 21 febbraio scorso a Calcata perché mi sembra in tema con Cairano e anche perché è bellissimo.

Cara Anne,

m’inviti a scrivere quelle poche parole che ho detto in occasione della presentazione del catalogo Artemisia 2009. Mi obblighi, e te ne sono grata, a mettere ordine fra i pensieri e le emozioni che mi hanno investito, a Calcata, in quella mattina piena di sole invernale. Sono venuta a rappresentare la Regione, che ha promosso tante iniziative, piccole e grandi, nell’ambito della seconda edizione Festa dei musei, delle biblioteche e degli archivi storici del Lazio.

Fra azioni di valorizzazione dei servizi culturali del territorio, infatti, anche quest’anno l’Assessorato alla Cultura, Spettacolo e Sport ha programmato la Festa, che si propone come momento pubblico di contatto con le comunità, finalizzato a promuovere la ricchezza e l’articolazione dei musei laziali presso un più vasto pubblico. Opera Bosco – Museo di arte nella natura ha ricevuto l’attenzione di due settori regionali. Oltre all’Assessorato alla Cultura, l’Assessorato all’Ambiente e Cooperazione tra i Popoli ha manifestato costante impegno e attenzione per questo luogo particolare, dove i beni ambientali e culturali si intrecciano inestricabilmente, come le radici delle piante nella Forra della Valle del Treia.

Sono venuta per svolgere un compito istituzionale, ma dopo, a margine, si sono insinuate altre percezioni, sensazioni, altri pensieri. Entrando nel Palazzo baronale, cercavo la sala conferenze. Impercettibilmente, componevo a me stessa la maschera del volto. Tentavo di mettere in fila, mentalmente, qualche riflessione. Cercavo una sedia per sfogliare nuovamente il catalogo e contrassegnare, diligentemente, con pezzetti di carta, i passi da leggere o le immagini su cui richiamare l’attenzione. Procedendo, inciampavo, quasi, in un’opera: un gran cerchio tutto di squame; cerchi concentrici ordinati, costruiti con schegge di corteccia di albero; schegge pelose, sempre più vellutate, via, via verso il centro. Da quel momento, iniziava un movimento inverso. Richiudevo il libro, scioglievo la lieve rigidità del volto, rinunciavo alla volontà di mettere ordine ai pensieri e alla consequenzialità del discorso e, per così dire, sprofondavo nel momento presente, nella penombra della sala, nel magnetismo circolare di quella sorta di mandala fatto di scorze disseminate sul pavimento. Sì, ogni volta che ho preso contatto con Opera Bosco, con le opere d’arte impermanenti, mutevoli e cangianti, intessute con i materiali della natura, ho pensato alle splendide composizioni concentriche di polveri colorate, che prendono, appunto, il nome di mandala, elaborate dai sacerdoti tibetani, amorosamente custodite per tutto il corso dell’opera e subito dopo distrutte. Sono idee, emozioni, grumi di vita trascorsa, che prendono forma di simboli e di immagini, costituiscono la trama di una rappresentazione interiore, durevole o effimera che sia la materia che ce la restituisce, per molti secoli o per una sola stagione.. M’immergevo nelle qualità del luogo, dei rumori e dei suoni, delle persone, degli artisti, dei ragazzi delle due accademie, di Roma e di Napoli; mi si dispiegavano davanti agli occhi, contemporaneamente, un’infinità di punti di vista, di possibilità. Si scioglieva, d’incanto, la presunzione di dover fare un discorso. Ecco, si sono presentati ricordi, immagini, frammenti di vissuto e questo ho voluto condividere con chi mi stava intorno. Quando un’immagine ci colpisce, fa riemergere brani di vita dimenticati, sepolti, rimossi, forse perché ci avevano fatto soffrire; crea contiguità fra creatura e creatura, crea continuità fra ciò che è stato, il momento presente e il futuro; “di fronte a un’immagine – ricorda G. Didi Huberman – dobbiamo riconoscere con umiltà che essa probabilmente ci sopravvivrà, che siamo noi l’elemento fragile, passeggero, e che è l’immagine l’elemento futuro, l’elemento della durata”.

A che cosa serve l’arte? Serve a sciogliere i nodi, le durezze, le concrezioni dell’anima; a riattivare il flusso della vita. A mettere in comune, plasmare nuovamente insieme, ciò che le parole avevano diviso, le azioni avevano indurito e i silenzi avevano irrigidito, così sembrava, in modo irrevocabile. Le opere realizzate nel bosco, da gruppi di studenti e insegnanti, restituiscono le intenzioni di un piccolo coro, registrano la fusione di sguardi e di mani che hanno operato insieme, la stanchezza dei corpi che hanno lavorato, l’uno vicino all’altro, a contatto con le materie del bosco. Spero di ritrovare quel filo di percezioni e pensieri aggrovigliati insieme, spero di ritrovare quel filo e poter dare, con le parole, oggettività alle impressioni fluide, prima che queste diventino eteree, impalpabili come i ricordi.

Forse amiamo l’arte e i musei d’arte per coltivare uno sguardo indagatore, ma non avido, uno sguardo fluido e disposto a deporre le armi di un sapere solo discorsivo e razionale; uno sguardo capace, anche, di accettare l’inadeguatezza del proprio abituale bagaglio. Alla necessità di nominare e definire, si affianca quella, struggente, del ricordo, il cui scopo è di entrare in contatto con una dimensione più ampia.

Vorrei raccontare una storia. A mia volta ho ascoltato il racconto dalla voce, dolcissima e antica dell’artista Maria Lai.

Maria viene da un piccolo paese dell’Ogliastra. Paese dove, nel tempo, così come in ogni altro luogo, si sono aggrovigliati legami d’amore, di odio e reciproci rancori. L’artista doveva creare un’opera per il suo paese. Desiderava offrire un contributo di pace alla sua gente. Doveva, insieme a tutti gli abitanti del luogo, sciogliere nodi e, poi, legare ancora, con un filo nuovo, casa con casa, case con alberi, il paese intero con la montagna. E allora: i commercianti offrono le balle di tessuto; i bambini, i vecchi, le donne, poi si aggiungono – all’inizio riluttanti – anche gli uomini, tutti insieme, tagliano la stoffa in tante strisce e l’arrotolano e costruiscono un filo lunghissimo. Poi legano insieme le case e, dove c’è stata una lite, girano intorno due volte, e poi, si devono legare le case alla montagna. È difficile. Chiamano gli scalatori e gli scalatori capiscono e arrivano a legare le case alle montagne….

Mi è ritornata in mente questa storia bellissima che racconta l’omaggio di un’artista alla sua terra.
Oggi, a Calcata, vago con gli occhi dalle opere esposte nel Palazzo baronale a quelle del bosco, presentate nel catalogo Artemisia 2009. Si susseguono le affioranti poppe di Sexartemisia di Gabriella Di Trani, le radici di Ve-na-tura di Federica Torrice, la parete di tufo e i rami di Roccia Letarga, realizzata da Pietrantonio Arminio con dieci studenti dell’Accademia di Napoli, fino ai tuoi Giganti neri, i tuoi rami di olivo che agitano le mani verso il cielo.

OperaBosco ogni anno, più volte, ospita artisti ormai noti e più giovani artisti, tutti impegnati a portare avanti una grande opera corale. Ognuno accorda il proprio accento a quello degli altri. Si fondono gli sguardi, si abbassa il registro di una voce, il tono di una parola. Si plasma la terra, si intrecciano i rami, lo sguardo abbraccia uno spazio più grande.

Con un filo, questa volta invisibile, si lega creatura a creatura, e le creature al luogo. Si gettano buoni semi.

Written by soter54

16 marzo 2010 a 8:14 PM

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