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Franca Molinaro, poetessa del Sud

NELLA TERRA DI MEZZO  _ di  Paolo Saggese

 

In questi giorni rileggevo un bel libro di Fernand Braudel dedicato al Mediterraneo, e pensavo alla ricchezza di questo mondo, di questo “mare nostrum”, che ha accomunato tanti uomini diversi ed è stato culla di tante civiltà. Il Mediterraneo, scrive il grande storico, “è un mosaico di tanti colori”, e che ha, comunque, alcuni punti in comune invariabili quasi. Braudel aggiunge anche un’altra osservazione, che oggi potrebbe servirci di riflessione: “Il Mediterraneo è un insieme di vie marittime e terrestri collegate tra loro, e quindi di città che, dalle più modeste alle medie, alle maggiori, si tengono tutte per mano”. Dovremmo saper cogliere questi messaggi e non fare barricate …

Uno di questi punti comuni è la civiltà contadina, che a tutte le latitudini conserva caratteristiche ben precise. A questo mondo ha dedicato la sua vita una giovane poetessa irpina d’adozione, beneventana di nascita, Franca Molinaro. Una figura poliedrica di scrittrice, pittrice, scultrice, ricercatrice e antropologa, che ha al suo attivo numerosi volumi frutto di un lavoro di ricerca originale e alcune raccolte poetiche. Da segnalare, tra gli altri, sono i volumi “Morroni – passato e presente, storia e tradizioni” (2001), “Frammenti canori della civiltà irpina” (2006), e da ultimo la collaborazione a “Bonito e i suoi figli nel mondo. Storie di emigrazione in Irpinia” (2008), a cura, oltre che della Molinaro, di Carlo Graziano, A. Raffaele Beatrice, Gaetano Di Vito, Emanuele Grieco, Valerio M. Miletti.

Come in ogni cosa, Franca Molinaro mette in gioco sempre la sua anima, scrive con il cuore e la mente, vive con il cuore e con la mente. Ha in sé una forza d’animo, una forza d’amore, un “fuoco sacro”, che è proprio di chi vive sempre. Così è la sua scrittura, ovvero scrittura, che è vita, scrittura che è passione, che è dolore, che è fatica, che è sudore, che è sangue.

Questa sua forza richiama quella di altre poetesse del Sud, ad esempio di Koumanthio Zeinab Diallo, della Guinea Conakry, che nella poesia “Rose di sangue” così si rivolge alle “sorelle del Sud Africa”:  “A voi mie brune sorelle / Di Johannesburg, di Sharpeville, di Soweto / Le mie sorelle delle repubbliche future / Dalle lacrime prosciugate / E dalle mani languide / Guardate queste rose che non appassiscono mai. / … / Voi siete l’erba umida e fuggevole / Degli imperi di pace e di luce / Rose di sangue / Rose delle notti scolpite / Degli ultimi desideri / Rose dei morti senza nome / Condannati per il secolo della disperazione / Proteggete ancora / Il sonno eterno dei combattenti / Dai sogni di sventura / Nelle notti vietate”.

Ed ecco, con pari intensità, Franca Molinaro scrive, in “Lamento dannato” (da “Il Sole”, Delta 3 2001): “Le donne sono morte, / tutte, / bruciate vive sui roghi dell’Inquisizione, / dilaniate dalle fiamme nelle fabbriche londinesi, / sono morte impiccate sui patiboli della rivoluzione, / asfissiate nelle camere a gas di Auschwitz / sono morte per la Patria sulle Alpi e sull’Aspromonte”. “Chi ti ascolta? Cos’è la rivoluzione? Cos’è la libertà? / Io ti capisco sai / e sento il sangue che mi bolle dentro / la rabbia che mi brucia l’anima”.

Questa di Franca Molinaro è poesia impegnata, che fa dell’autrice un esempio raro di “poetessa meridionalista” alla stregua dei vari Pasquale Martiniello, Giuseppe Iuliano, Giuseppe Saggese, Nicola Arminio, Giuseppe Pisano, Vincenzo D’Alessio. Significativa è, del resto, questa lirica dedicata ai poeti: “Siamo poeti sopravvissuti, illusi e delusi, / naufraghi in questo mare di mediocrità. / Ultimi esemplari di una razza in estinzione. / Foglie di arbusti decidui nell’autunno incalzante. / Partigiani di una guerra persa. / Guerriglieri di una causa dimenticata. / Martiri del nostro sentire. / Don Chisciotte di un poema contemporaneo. / Irrecuperabili romantici …” (“Poeti”).

Altro aspetto rilevante in questa poesia è la presenza della civiltà contadina, al cui studio Molinaro ha dedicato molto del suo impegno intellettuale. Ecco un esempio, tratto dalla raccolta “Invisibile diaframma” (ancora Delta 3): “Mi ritrovo fanciulla / tra il verde della mia campagna, / un campo di grano, / una fetta di pane e un uovo sodo, / una brocca d’acqua chiara. / Mi raccontavi il Padre Nostro, / la storia di Maria” (“Zia”).

Un componimento semplice, essenziale, piano e poetico al contempo, ricco di brevi, fugaci ricordi, che rappresentano tutta la complessità di un mondo: questo è il fascino della poesia. Il pensiero va ancora all’insegnamento ungarettiano di “Commiato”.

Altro aspetto in comune con i poeti “meridionalisti” è appunto lo stile semplice, essenziale, il gusto per la rappresentazione della realtà per quella che è.

Ma nelle poesie di Franca Molinaro v’è anche spazio per l’idillio, per un notturno incantato, che esprime amore per la natura e ne descrive l’incanto, un incanto antichissimo, che rimonta ad Alcmane, a Saffo, e arriva sino a Teocrito, a Virgilio, a Leopardi. Anche in questo senso si può dire che la poetessa sia un’autrice mediterranea, meridiana, ovvero pienamente immersa in un mondo di cui ne è parte. Ecco l’incipit di uno di questi eleganti notturni: “Dolce la notte / e dolce delle stelle il silenzio. / Dolce questa vita che ci trascina con sé / lungo i sentieri del mondo. / Dolci, ora, i sorrisi dei nostri uomini, / perché dolce è quest’ora …” (“Dolce la notte”). Questo canto alla Natura ha un ché di pessimistico, nel momento in cui constata quanto questo mondo sia stato violato: “Calore sei morto. / Né pesci, né gracidare di rane, né fastidiose zanzare”. “Giunge alle narici odore fetido di morte, desolazione e sgomento angosciano l’anima mia / che inerte si arrende cosciente della sua impotenza”.

Questa poesia così legata alla vita presenta più aspetti sorprendenti. La Molinaro, infatti, pur non essendo irpina di nascita, recupera pienamente il mito degli antichi irpini che riprende dalla poesia di Pietro Paolo Parzanese. Questo mito affonda, d’altra parte, le radici in epoche passate, anteriori allo stesso Romanticismo. E così la poesia “Lo spirito dei lupi” diviene invito alla lotta, alla speranza, all’impegno per un futuro migliore. Di questo invito, di questa speranza, siamo grati alla poetessa, perché la poesia ci deve insegnare la strada per l’Utopia o almeno per uscire dalla palude in cui rischiamo di affondare: “Nella coscienza lucida un credo, / una causa per operare e sperare, / perseverare, ricostruire ogni volta, / continuare a lottare”.

 

[22 maggio]

 

Written by alfonson

12 gennaio 2009 a 5:37 PM

Una Risposta

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  1. ciò che mi ha colpito la prima volta che ho incontrato Franca Molinaro è stato vedere nello sguardo una profoda venatura nostalgica.
    Si, la nostalgia.
    Ho letto le sue poesie e visto alcune opere in una mostra (non ricordo bene dove).
    Ha il tocco esile e pieno.
    Molto coraggio.

    alice 95

    13 gennaio 2009 at 10:45 PM


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