COMUNITA' PROVVISORIA

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Contro Arminio, ovvero: la fine dei paesi

Come ti dicevo, i nostri piccoli paesi non servono proprio a nulla. La storia del recupero dei centri minori, poi, propinata con la retorica della loro necessaria vitale riscoperta, francamente è una boiata pazzesca. Insopportabile.

Da quando sei andata via ho smesso di inseguire i paesi: ecco. Bene. Non c’è più il mio, quello degli altri, quelli che a caso la vita ci presenta davanti. Inevitabili, severi, sadici nel loro tormentato labirinto di pietra e cemento. Ho smesso di cercare un senso già dato a ciò che attraverso a piedi, in auto, ho abdicato all’assenza di un amore romantico per queste comunità così come sono. Non c’è futuro, non c’è domani qui. Non voglio darti ragione, ma un po’ sì. Ho finito di chiedere a me stesso se il significato della mia presenza nei paesi e della loro presenza intorno a me, corrisponda alle scritture della nostra pigra memoria collettiva. Io – è questa la mia sola verità – io non ho memoria, né più mi basta quella di altri, quella ereditata, dei padri, dei canti, del grano, dell’uva, di tutta quella storia là. Ne abbiamo parlato, lo sai. Come stai?

Ma tu vedi, io non ho la memoria esatta che dovrei avere per rimpiangere i miei paesi, per partecipare al lutto collettivo che mi vorrebbe affranto al capezzale della loro amara sorte. Sono spaesato, ecco tutto. Non triste, non perduto, neppure solo. Sì, giusto: tu-sei-andata-via, tu sei partita e io sono qui. Bene. Ma sono spaesato perché mi sono spogliato dei paesi morti che non ho mai indossato, privato delle loro meste ritualità, dei loro avari sguardi, del grigio teatro che essi offrono alla bocca buona del mio destino. I paesi, in realtà, non esistono più da un pezzo. Semmai, essi sopravvivono nella nostra vaga immaginazione per unire traiettorie di desideri mai realizzati e sogni mai avverati. Il paese cercato, però, è inarrivabile: semplicemente perché esso è morto.

Non può bastare la rianimazione dei luoghi dei nostri genitori, né serve tenere in vita artificialmente i ruderi della nostra infanzia: non soddisfa nessun bisogno attuale il tentativo accanito di ricucire per ricucire i luoghi o, come dicono oggi, i territori di questo grigio nauseabondo presente. Se proviamo, al limite, a prenderci cura dei paesi che incontriamo lungo il cammino, lo sai, non è per amore delle pietre e delle anime, ma per un disperato e malcelato amor proprio: un estremo tentativo di sottrarci alle onde che ci portano lontano da qui. Un tentativo di sfuggire agli anni che non sappiamo più misurare, alle parole che non comprendiamo, alle danze che non sapremo mai ballare, alle emozioni che ci scoppiano nello stomaco ma che non sappiamo più dire. Non osiamo dire. Sono parole nuove che partorisce il tempo e spuntano in bocca alla storia come i fiori della reclàme. Ma noi ne siamo distanti, siamo sordi, oppure le allontaniamo per paura e le imitiamo goffamente senza possederle nel profondo. E allora, almeno questa specie di amore estremo ci sia concesso, perché noi non possiamo. Non ora, non qui, ce lo ripetiamo a memoria da soli, ancora oggi… E rincorriamo, per le terre battute dal vento, il calore che queste vie ci hanno donato un giorno, quel giorno che non c’è già più.

Se vuoi, i paesi, esistono solo nella misura in cui noi li costruiamo. Perché, nella foga bastarda di ri-costruire per interi decenni, armati fino ai denti di cemento e avida rabbia, non abbiamo imparato a costruire. E non solo le case. Costruire relazioni, legami, intese. Costruire emozioni, edificare col sangue dell’amore e dell’odio, dell’appartenenza e della speranza, del cuore, dell’intelligenza, della conoscenza. Del coraggio. Edificare, silenzio su silenzio, relazioni umane appaganti e gratificanti, le uniche vere fondamenta per ogni nuova contrada, per ogni nuova strada, per tutte le pietre che metteremo l’una sull’altra il giorno che verrà. Se tu lo vorrai.

Nuove alchimie, nuovi sortilegi per le nostra anime vagabonde, canzoni nuove per la nostra voce (“dateci le parole, quelle che gli italiani non amano sentire…”, l’abbiamo ascoltata insieme, ricordi?). Non altri grevi piani urbanistici di palazzinari e ditte edili e gente che deve lavorare, e prigioni a forma di casa, ma piani regolatori del tempo, dei nuovi bisogni, della conoscenza che cerchiamo, della comunicazione che occorre, dei servizi che mancano al corpo e all’anima. Nuove piazze, nuovi culti, altri poteri. Piani regolatori del diritto ad un Senso alla propria piena esistenza in questa terra come in altre. E strumenti moderni del diritto all’accesso al mondo presente e al tempo futuro…

Generare buone relazioni e non arido reddito, nuovi legami per nuovi redditi, questa sarà la ricchezza, questa la dote che porteremo – se ne saremo capaci – a chi ci seguirà. Non credi? Per questo dico che l’esempio dei paesi dei padri ci serva non per piangere il lamentoso refrain della loro irrimediabile fine, ma per capire ancora una volta che l’uomo vive con gli altri. A noi tocca costruire altri paesi – non i fortini della solitudine e dell’accidia che abbiamo già, ma costruire luoghi nuovi dove sbrigliare per i campi la fantasia e la speranza.

Le comunità di pietra lascino il posto a quelle delle parole e dei gesti, anche dei sogni, della fiducia in una modesta felicità, qui e ora. Ma edificare nuovi paesi richiede la giusta malinconia civile, l’adeguata consuetudine con la tristezza e con la sola verità della solitudine. Dovremo trivellare l’anima e cercare in fondo l’acqua buona e forte per vivere bene nei paesi nuovi. Sprofondiamo e rinasciamo in un altro luogo. Che è lo stesso e non più lo stesso dal quale siamo partiti. Facciamolo insieme, stanotte. Un tratto di strada insieme, come allora.

Tornerai, vero?

Un piccolo paese non è per sempre, come forse lo sono certi diamanti. Ma il desiderio, il bisogno di costruire luoghi per le relazioni che ci aiutano a vivere bene, quello, vivrà fino alla fine. Ogni comunità, in fondo, di pietra o di parole che sia, o di entrambe, è solo una comunità di passaggio. Una comunità provvisoria.

Written by giannifiorentino

17 giugno 2008 a 1:04 am

Pubblicato su AUTORI

12 Risposte

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  1. caro gianni
    il testo introduttivo al libro paesologico che esce il 5 luglio da laterza
    si muove nell’area in cui si muove il tuo testo.
    sarò in possesso del libro già all’inzio della prossima settimana.
    sarebbe bello farne una presentazione anticipata alla comunità provvisoria.
    intanto spero che su questo tuo testo si apra la discussione. mi pare urgente e centrale.
    grazie per l’intelligente provocazione.
    armin

    francoarminio2

    17 giugno 2008 at 11:44 am

  2. l’introduzione al libro finisce con queste righe:

    La regola, la legge che si profila sembra seguire la curva delirante della mia disciplina: paesologia, tanatologia, teratologia. Detto altrimenti: il mondo è un paese, il paese è morto, dunque il mondo è un inferno abitato da mostri.

    armin

    francoarminio2

    17 giugno 2008 at 11:54 am

  3. scusate se faccio una digressione all’interessante post qui sopra. mi piacerebbe sapere se qualcuno ( l’idea mi giunge dopo aver appreso dell’assassinio di quel consigliere leccese) ritiene come me che la strada per ricivilizzare l’italia non possa che passare che attraverso la reintroduzione sistematica della pena di morte per i reati più crudeli, che l’abolizione della stessa dai codici sia un chiaro segno della barbarie dei tempi, e che si debba depenalizzare la vendetta privata di familiari e amici di fronte ai casi più gravi

    sergio gioia

    17 giugno 2008 at 11:59 am

  4. adesso viene il difficile (con la paura -infantile- di aver frainteso.Perdonerai la mia presunzione?), ma c’è stato già troppo silenzio, almeno per me.

    “Leggeri ormai sono i sogni,
    da tutti amato
    con essi io sto nel mio paese,
    mi sento goloso di zucchero;
    al di là della piazza e della salvia rossa
    si ripara la pioggia
    si sciolgono i rumori
    ed il ridevole cordoglio
    per cui temesti con tanta fantasia
    questo errore del giorno
    ed il suo nero d’innocuo serpente(…)
    Di porta in posta si grida all’amore
    nella dolce devastazione
    e il sole limpido sta chino
    su un’altra pagina del vento”

    devo davvero indicarne l’autore? non a te di certo, non a te.

    eldarin

    17 giugno 2008 at 3:23 PM

  5. ooppss, lo smile non c’entra nulla, è da leggersi come una parentesi tonda di chiusura

    elda

    eldarin

    17 giugno 2008 at 3:25 PM

  6. cara elda con quel poeta ho parlato tante volte
    quando ero un “giovane poeta”
    e la paesologia era lontana.
    dietro il paesaggio: dal titolo di un suo libro è venuto il titolo per il primo incontro
    della cp
    dietro il paesaggio: parlamenti in osteria.
    era la fine di settembre….

    armin

    17 giugno 2008 at 6:36 PM

  7. @franco
    non me ne meraviglio (ma ti invidio), poiché, forse, è anche grazie alla sua poesia che da “giovane poeta” che eri ti sei trasformato nel Poeta che sei.

    eldarin

    17 giugno 2008 at 7:07 PM

  8. gianni ho letto il tuo testo una sola volta e quindi mi muovo in superficie, adesso
    sembra che tu sia in cerca di un distacco
    elabori analisi per distaccartene
    c’è pessimismo e c’è una visione oramai solo negativa di quello che rimane
    ho capito,
    vuoi andare verso la città

    non immagini come si ribaltino analisi e visioni dopo poco tempo che sei là

    ancora grazie per quella traccia che mi spedisti

    verderosa

    18 giugno 2008 at 6:07 PM

  9. caro gianni
    nemmeno il titolo provocatorio è servito a smuovere le acque.
    le cose che dici meritavano più attenzione.
    un caro saluto
    armin

    arminio

    18 giugno 2008 at 6:52 PM

  10. il testo (poetico) di gianni lo trovo splendido. interpreta, tra l’altro, un mio reale disagio ad aderire, a pieno, alle tesi portate avanti, pur con ammirevole passione civile, dalla comunità provvisoria. e il disagio proviene dal sottovalutare/mal interpretare il peso delle politiche di sviluppo socio-economico (peraltro carenti) dei nostri paesi come unica speranza di ritardare la morte dei nostri paesi. voi stessi, state creando occasioni di sviluppo, coll’idea del parco (attenti che, proprio ieri, la manovra finanziaria di tremonti taglia fondi ai parchi naturalistici con meno di 50 dipendenti), semplicemente allestendo per i “provvisori”, dal niente, opportunità di crescita umana e civile. eppure trovo inopportune le vostre allusioni alla “decrescita felice”, perché economicamente le nostre terre non sono mai cresciute né i suoi abitanti, da pastori o braccianti o emigranti, analfabeti e senza diritti, potevano dirsi veramente felici. sì, vivevano dei prodotti della terra che coltivavano ma che non possedevano. vi scagliate contro la politica, senza dubbio la più deteriore dalle nostre parti, quando la politica è la vostra mentre quell’altra è solo stupido gioco di ruolo. “i paesi esistono solo nella misura in cui li costruiamo”, scrollatevi l’ultimo residuo di impotenza, in micropaesi deserti come i nostri, popolati di vecchi e di morti, la vostra vitalità non può che fecondare, diventare il motore che muove le cose. dopotutto, si sa, dal letame nascono i fiori.

    maynardo

    19 giugno 2008 at 12:46 PM

  11. A mio parere i paesi esistono e continueranno ad esistere, ma ci sara’ fra essi una specie di selezione naturale. Tale selezione c’e’ sempre stata e ci sara’ sempre. I paesi che avranno successo e si svilupperanno saranno quelli in grado di collegarsi ale citta’ ed attrarre in misura armoniosa le cinque forze che le citta’ sanno sprigionare:

    (1) espansione dei mercati cittadini per nuove e diverse importazioni;

    (2) espansione delle competenze dei lavoratori;

    (3) espansione delle unita’ produttive al di fuori dei confini cittadini;

    (4) espansione tecnologica per aumentare produzione e produttivita’;

    (5) espansione del capitale

    http://janejacobs.wordpress.com/2008/04/01/le-cinque-forze-della-citta/

    janejacobs

    23 giugno 2008 at 12:45 am

  12. @franco. aspetto di leggere il tuo nuovo libro, spero tu faccia la presentazione di cui parli per la cp, oltre che a paternopoli… oggi servono parole vere per un futuro autentico, la necessaria dose di poesia (rectius: poiesis) per tutto quello che c’è da dire e da fare. ps. inutile dire che ti invidio anche per le tue frequentazioni con zanzotto.

    @elda. solo grazie.

    @angelo. la mia non è una visione pessimistica, tutt’altro. è esattamente l’opposto. non leggere contrapposizioni tra paesi e città, sono due momenti di una stessa storia. ed è quella storia che a me interessa.

    @maynardo. ho appreso nuove sollecitazioni dal tuo commento, te l’ho detto. anche di questo ti sono grato. leggendoti mi veniva in mente l’utopia del possibile.

    @janejacobs. mi piace il tuo riferimento al “successo” dei paesi, lo trovo molto pertinente. i paesi esisteranno sempre, è vero. ma come nella vita delle persone –azzardo per semplificare- anch’essi dovranno chiedersi prima o poi cosa vorranno fare da grandi per vivere o sopravvivere. più su in questo blog michele fumagallo offre una interessante ipotesi evolutiva.

    gianni fiorentino

    gianni fiorentino

    23 giugno 2008 at 3:41 PM


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