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skip to main | skip to sidebar lunedì 11 gennaio 2010

0036 [SPECULAZIONE] Paesi, paesaggi, paesologia e Franco Arminio

Franco Arminio è un ipocondriaco per curarsi scrive. Vive a Bisaccia, un comune campano di 4.400 anime. Quasi giornalmente va a fare visita ai piccoli comuni della sua zona, cammina, osserva, chiacchiera e spesso consuma il suo pranzo (un panino imbottito) seduto su una panchina, quando la trova. Dopo anni di attività pedestre ha inventato una nuova scienza la paesologia.[1]

Salvatore D’Agostino: In Italia ci sono:
835 comuni con meno di 500 abitanti
1138 comuni fra i 500 e 999 abitanti;
1669 comuni fra i 1000 e 1999 abitanti;
1010 comuni fra i 2000 e 2099 abitanti;
702 comuni fra i 3000 e 3999 abitanti;
488 comuni fra i 4000 e 4999 abitanti.
Per un totale di 5842 su 8100. Cioè circa il 72% dei comuni hanno meno di 5000 abitanti pari a una popolazione di circa 15.000.0000 milioni su 60.000.000, quindi il 25% della popolazione italiana vive nei piccoli paesi.
Scrivi «Un paese è un luogo dove non si può barare».[2]
Sono tutti luoghi da bandiera bianca?[3]

Franco Arminio: Non credo che siano tutti paesi da bandiera bianca. I paesi da bandiera bianca in realtà sono molto pochi. Sicuramente non sono paesi da bandiera bianca quelli vicini alla città o quelli in pianura. il fatto che quindici milioni di italiani vivano nei piccoli paesi non significa che vivano in luoghi simili. Ogni paese è un po’ un caso a sé e quelli di cinquecento abitanti sono assai diversi da quelli di quattromila. Rimane il fatto impressionante che si parla poco di paesi e dei loro problemi. La paesologia nasce proprio dalla constatazione che ci sono i paesi e non se ne parla. Al massimo ci sono quelli che scrivono del proprio paese.

SD: «”E’ da li che a me è venuta la voglia, o è tornata, di guardare non solo sempre avanti, ma anche oltre il bordo della strada. Per “PAESAGGIRE” come dice Zanzotto.
No! Il paesaggio non è il panorama che si può comprare in cartolina, perché ci siamo dentro noi nel paesaggio!!
PAESAGGIRE! IMMAGINARE!!
Non solo nel virtuale, ma anche nel reale. Leggere i segni di quello che accadrà domani in quello che hai intorno adesso; il paesaggio non è una quinta da teatro che si possa tirare via così insieme al resto… senza che insieme strappino anche noi dalla scena. E’ per questo che ci sentiamo rigidi, spaesati, impauriti…»[4]
Marco Paolini inizia così il suo viaggio, prima veneto e dopo italiano, facendo suo lo sguardo del poeta Andrea Zanzotto[5], il ‘paesaggio’ non è una visione estetica ma un deposito di tracce. La paesologia?

FA: Con Zanzotto ho avuto una lunga frequentazione epistolare e anche telefonica quando scrivevo solamente in versi. Ho sempre amato il suo lavoro. Lui, come me, ha una precisa geografia della scrittura, nel senso che scrive quasi sempre all’interno dello stesso paesaggio. La paesologia non è una visione estetica, ma una forma di attenzione per i luoghi più sperduti e affranti. Ovviamente si può descrivere qualunque paese, ma credo che a me riesca meglio parlare dei luoghi più desolati, che poi spesso sono i luoghi più vicini al mio paese. La paesologia è un viaggiare nei dintorni, è la soluzione di chi non riesce più a stare nel proprio paese ma non riesce neppure a lasciarlo. Quando parlo di paesi parlo soprattutto di paesaggi, direi che sono la cosa che sento di più. Mi ricordo quando vado in un luogo più la curva di una collina che il profilo di un viso.

SD: Alla 10° Mostra Internazionale di Architettura, Biennale di Venezia dal tema “Città. Architettura e società” del 2006, il curatore del padiglione tedesco Philipp Oswalt presentò, la ricerca sulle ‘Shrinking cities’ ovvero le città che si contraggono: «La decrescita porta – esattamente come a sua volta la crescita – a trasformazioni di carattere fondamentale, cui corrispondono modifiche dei principi, dei modelli di azione e delle pratiche che di conseguenza generano nuove tendenze all’interno della società. Il fenomeno della contrazione urbana è dovuto a diversi processi di trasformazione. Nei vecchi paesi industrializzati, nei quali principalmente si è riscontrato il fenomeno del ritiro urbano negli ultimi decenni, le cause principali sono dovute alla suburbanizzazione, alla deindustrializzazione, al calo demografico e ai cambiamenti politici seguiti alla caduta del comunismo.»[6]
In Germania vi è una programmazione nei confronti di queste realtà, l’IBA di Berlino a tal proposito ha stilato 10 principi.[7]
In Italia, molte città si sono contratte ma contrariamente alla sensibilità politica/accademica tedesca sono stati agevolati interventi non organici che favoriscono la cementificazione coatta.
Qual è il rapporto tra il costruito e gli abitanti nei paesi che vai a visitare?

FA: Nei paesi ci sono più case che abitanti, penso soprattutto ai paesi svuotati dall’emigrazione, quelli che stanno nelle zone più interne e montuose. Spesso sono stati proprio questi emigranti ad alimentare la cementificazione. Molti tornano nei paesi proprio per fare prendere aria alle loro case, chiuse tutto l’anno. Un’altra cosa che mi colpisce è che i paesi abbiano il buco a centro. Quelli che non sono andati via hanno realizzato una sorta di emigrazione in periferia. Io li chiamo i disertori sociali. A causa loro i paesi sono abitati più nei loro margini che al centro. E questa conformazione del costruito contribuisce a creare una sorta di effetto vuoto che si ha andando in giro per i paesi. Sarebbe opportuno riportare nuovi residenti creando delle facilitazioni chi decide di comprare casa nei piccoli centri. D’altra parte sarebbe anche il caso di bloccare la costruzione di nuove case, ma favorire solo la ristrutturazione di quelle ubicate nei centri storici.

SD: È possibile ristrutturare le abitazioni del nucleo più denso dei paesi, non credi che per gli emigranti o gli abitanti siano case povere, inospitali, vecchie?

FA: Ieri sono stato ad Accadia[8], in provincia di Foggia. C’è un pezzo di paese interamente ristrutturato, ma completamente vuoto. Ora vorrebbero affidarlo a un’agenzia turistica, ma è una scelta che non ha senso. La sfida vera è portare nuovi residenti nei paesi. Il patrimonio edilizio è notevole, come quantità e qualità. È una situazione che ho constatato di persona in moltissimi paesi. Magari ci sono zone in cui le case sono povere e inospitali, ma sarebbe meglio risistemarle piuttosto che costruire ancora case nuove.

SD: Non credi che questi luoghi amabili per il turista di passaggio siano incompatibili con le esigenze abitative dell’uomo contemporaneo?

FA: In parte si. D’altra parte “l’uomo contemporaneo” deve capire che non può usare gli spazi a suo piacimento. E penso che alla logica di casa bella in un luogo brutto debba subentrare una logica in cui la bellezza del luogo sia più importante della bellezza della casa. L’uomo contemporaneo deve lasciare il delirio della dimora autistica e deve tornare ad abitare di più gli spazi collettivi. Se ognuno vuole abitare in una reggia è chiaro che fra poco non ci sarà più terra e il mondo diventerrà un gigantesco deposito di materiale edile. Purtroppo da questo punto di vista l’italia è all’avanguardia.

SD: «Il centro storico è in rovina, il resto è periferia, una periferia dispersa casa per casa. Solita storia di una comunità in fuga dal passato». Franco Arminio[9]
Per Vincenzo Cerami «l’Italia di oggi è un’unica città senza soluzione di continuità».[10]
La fuga di cui parli è osservabile sorvolando il nostro territorio.
Che cos’è la periferia nelle piccole comunità?

FA: Io frequento i luoghi italiani dove questa città diffusa si interrompe. Penso alla Lucania, al Molise, alla Sardegna. L’italia costruita dalle betoniere è veramente sconsolante.
Le periferie nei piccoli centri sono i luoghi dei disertori, i luoghi di chi ha voltato le spalle al suo paese, ma non ha avuto il coraggio di andarsene lontano.

SD: Che cos’è la paesanologia?

FA: La paesanologia è la disciplina praticata dagli storici locali, dai presidenti delle pro loco. Sono figure a tutti note, non credo sia necessario aggiungere altro.

SD: «Una volta nei piccoli luoghi si guardava il mondo come una faccenda che avveniva altrove. Il paese era un altro mondo.»[11] e «Adesso è quasi l’una. Accenda (sic) la videocamera su una vespa dove un tipo del paese vende due orologi a cinque euro. Mi dice che ha pure gli accendini porno e che se voglio incontrarlo posso andare su youtube o su facebook. Adesso l’incontro reale è sempre più solo l’occasione per darsi appuntamento nel mondo virtuale, un appuntamento che spesso si evade perché dimentichiamo il nome o perdiamo i numeri che ci hanno dato.»[12]
Qual è la visione del mondo nei paesi oggi?

FA: Difficile dire qual è la visione del mondo nei paesi oggi. Direi che salvo eccezioni c’è un sentimento piccolo, che è quello di entrare in questo mondo, senza rendersene conto che la grandezza di un paese oggi sta proprio nel suo essere fuori dal mondo. Un mondo spento e velleitario dovrebbe incoraggiare più spinte che centrifughe e non le ossessive spinte centripete a cui ancora assistiamo.

SD: «Franco Arminio uno dei poeti più importanti di questo paese, il migliore che abbia mai raccontato il terremoto e ciò che ha generato scrive in una sua poesia: “Venticinque anni dopo il terremoto dei morti sarà rimasto poco. Dei vivi ancora meno”. Siamo ancora in tempo perché in Abruzzo questo non accada. Non permettere che la speculazione vinca come sempre successo in passato è davvero l’unico omaggio vero, concreto, ai caduti di questo terremoto, uccisi non dalla terra che trema ma dal cemento».
Roberto Saviano conclude così il suo articolo dedicato al terremoto abruzzese del 6 aprile 2009, teme «la maledizione del terremoto non è soltanto quel minuto in cui la terra ha tremato, ma ciò che accadrà dopo».[13]

FA: Ormai è normale definire con la parola terremoto anche tutto quello che accade dopo, con la fase di ricostruzione. La via che mi sento di suggerire è quella di ricostruire i paesi più che le case. Un paese è qualcosa di più che un insieme di case, questo bisogna sempre ricordarselo.

SD: Lo scrittore Angelo Ferracuti nel 2005 ti venne a fare visita, ecco come descrisse Bisaccia:
«Venerdì 18 novembre 2005.
9.00
Ho preparato il bagaglio. Anche questo breve viaggio è finito e penso che ho visto un altro piccolo pezzo di mondo. Il cielo è aggrottato, per le strade annusi aria di neve. Prima di andarmene faccio un giro per il paese. Le casette in pietra del corso, ‘equilibrio e la grazia dei caseggiati fanno a cazzotti con il cemento del paese nuovo. Stanno come la civiltà alla barbarie. Vicino alle scuole elementari c’è la chiesa, ma sembra un osservatorio della Nasa. circolare, e davanti ha una specie di strano obelisco con in cima quello che sembra un radar. Forse è un misuratore del cattivo gusto, del brutto, e qui ce n’è davvero tanto. È quasi tutto opera di un geniale architetto napoletano».[14]
L’architetto napoletano è Aldo Loris Rossi, anch’esso bisaccese, chiamato a ricostruire il paese dopo il terremoto dell’Irpinia del 23 novembre 1980.
«Io quando muoio non voglio essere portato in questa chiesa –la stessa descritta da Angelo Ferracuti- e non voglio che sia questo prete a dire la messa». Franco Arminio[15]
Oggi le due Biasccie si osservano, forse si fronteggiano. Dopo 29 anni come e dove vivono i bisaccesi?

FA: Ci sono tre paesi. Il nuovo, il vecchio e il cimitero. Oggi, almeno a Bisaccia, il paese dei morti mi pare di gran lunga il più vivo. Ho sempre pensato al mio paese come a un luogo particolare, un luogo con una combustione intellettuale molto forte. Adesso e piuttosto precipitosamente questa anomalia del mio paese va scemando. Stiamo diventando uno dei tanti luoghi spenti dell’appennino meridionale. I bisaccesi vivono male e dicono di stare malissimo, come tutti i meridionali. È un paese di cattivo umore e di cattiva volontà, luogo ideale per i miei esercizi di anatomopaesologia. Non ci sono slanci speranzosi. La vitalità è così bassa che perfino i rancorosi sembra abbiano perso le unghie e i denti.

SD: Questa non è una domanda ma una richiesta: un consiglio agli architetti, urbanisti e ingegneri delle piccole comunità.

FA: Un architetto che lavora nel suo paese dovrebbe sempre ricordarsi che se fa una porcheria dovrà vedersela davanti agli occhi ogni giorno. In un piccolo paese ci vuole una grande architettura, questa è l’idea che dovrebbe guidare il lavoro dei tecnici.

11 gennaio 2010

 

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Note:

[1] «La paesologia è una forma di attenzione. È uno sguardo lento, dilatato, verso queste creature che per secoli sono rimaste identiche a se stesse e ora sono in fuga dalla loro forma.» Franco Arminio, Vento forte tra Lacedonia e Candela. Esercizi di paesologia, Laterza, 2008, p. 180
«In realtà il mondo in cui viviamo è perfettamente simile a quella cosa un po’ opprimente che è un posto di cinquecento abitanti, La società globale è la società della ruralità di massa. Niente piazza, niente vita comunitaria, ognuno è un pastore che pascola le sue pecore morte. Veramente non c’è scampo. Poi uno può decidere di non pensarci, può capitare che ci si diverta passeggiando in riva al mare o facendo l’amore in una stanza d’albergo, può essere che si stia bene su una panchina del proprio paese, tutto può essere, ma siamo nel campo delle deroghe, delle eccezioni. La regola, la legge che si profila sembra seguire la curva delirante della mia disciplina: paesologia, tanatologia, teratologia. Detto altrimenti: il mondo è un paese, il paese è morto, dunque il mondo è un inferno abitato da mostri.» op. cit., p. XIII
«La paesologia non si occupa di chi parte ma di chi resta. È la disciplina che segue chi non avanza a vele spiegate, ma chi inciampa, chi sente la vita che si guasta giorno per giorno, paese per paese.» op. cit., p.186

[2] Franco Arminio, op. cit., pp. XII-XII

[3] «Va di moda assegnare le bandiere ai luoghi. C’è chi assegna la bandiera blu alle migliori località di mare e chi quella arancione ai paesi più belli. La scuola di paesologia potrebbe assegnare la bandiera bianca ai paesi più sperduti e affranti, i paesi della resa, quelli sulla soglia dell’estinzione. Ce ne sono tanti e sono i meno visitati. Non hanno il museo della civiltà contadina, non hanno il negozio che vende i prodotti tipici, non hanno la brochure che illustra le bellezze del posto, non hanno il medico tutti i giorni e la farmacia è aperta solo per qualche ora. Sono i paesi in cui si sente l’assenza di chi se n’è andato e quella di chi non è mai venuto. Non hanno neppure stranezze particolari: gli abitanti non sono tutti parenti tra di loro, non fanno processioni coi serpenti, non fanno la festa degli ammogliati, non hanno dato i natali a una famosa cantante o a un politico o a un calciatore. Non hanno neppure particolari arretratezze, hanno l’acqua calda in tutte le case, hanno le macchine e il televisore, tutti hanno di che mangiare e un tetto dove dormire.» op. cit., p. IX

[4] Marco Paolini, I Cani del gas’, Einaudi, Torino, 2002

[5] Andrea Zanzotto, La Beltà, Mondadori, Milano, 1968

[6] Città in contrazione presso la 10° Mostra Internazionale di Architettura, Biennale di Venezia, 2006

[7] IBA ristrutturazione urbana 2010. Nuove prospettive per le città in cambiamento

[8] 10 luglio 2009 [ndr data dell’email]

[9] Franco Arminio, op. cit., p. 147

[10] Intervista a Vincenzo Cerami su ‘Fahrenheit’ radiotre, 5/12/2007

[11] Franco Arminio, op. cit., p. 179

[12] Franco Arminio, mattinata a candela, blog Scuola di paesologia, 27 marzo 2009

[13] Roberto Saviano, La ricostruzione a rischio clan ecco il partito del terremoto, La repubblica, 14 aprile 2009 (qui)

[14] Angelo Ferracuti, Le risorse umane, Feltrinelli, Milano, 2006, p. 204

[15] Franco Arminio, op. cit., p. 49

Approfondimenti:

Blog Scuola di Paesologia, Corriere del Mezzogiorno

Blog Comunità provvisoria

Cairano 7x

Libri di Franco Arminio

Franco Arminio, Il vocabolario di Fahrenheit, Programma radio tre del 28/12/2009-01/01/2010

Written by Arminio

11 gennaio 2010 a 10:13 am

Pubblicato su AUTORI

2 Risposte

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  1. Cari amici ‘provvisori’,
    mi piacerebbe ricevere le vostre opinioni sul mio blog, poiché l’architettura disegna le nostre vite materiche, economiche e culturali.
    Sovente, quest’aspetto è trascurato.
    Ringrazio in questa sede Franco Arminio per la sua disponibilità e per le sue risposte.
    Buon tutto,
    Salvatore D’Agostino

    Salvatore D'Agostino

    11 gennaio 2010 at 11:24 am

  2. grazie a te e arriverci a cairano…..

    Arminio

    11 gennaio 2010 at 1:21 PM


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